Corriere 4.5.16
De Siervo: io un riformatore ma questo testo è scritto male, i suoi effetti saranno caotici
di Dino Martirano
ROMA
«Al mio ex sindaco faccio i migliori auguri come capo del governo ma
non posso certo incitarlo come riformatore della Costituzione...». Il
professore di scuola fiorentina Ugo De Siervo — giudice costituzionale
dal 2002 al 2011, eletto presidente della Consulta prima di terminare il
mandato — è uno dei 56 «dotti professori», per usare un’espressione
cara al premier, che hanno firmato l’appello del «No» in vista del
referendum confermativo di ottobre sulla riforma costituzionale del
bicameralismo paritario: «Non odio Renzi. Sono un riformatore e penso
che anche rinnovare la Costituzione sia cosa buona. Ma bisogna rinnovare
migliorando. Invece, questo testo è scritto male».
Il presidente
emerito della Repubblica, Giorgio Napolitano, sostiene che il No è
animato anche da voi professori «perfezionisti», i ncapaci di essere
«d’accordo su come si sarebbe dovuta cambiare la Costituzione» .
«Non
siamo perfezionisti. Siamo realisti. E non possiamo farci prendere in
giro da false promesse. Vari di noi sono stati giudici costituzionali
abituati a valutare gli effetti, oggi non rappresentati all’opinione
pubblica, derivanti dall’applicazione delle norme costituzionali».
Napolitano,
sempre nell’intervista al «Corriere della Sera» di Aldo Cazzullo,
sostiene che il No comporterebbe «la paralisi definitiva, la sepoltura
della revisione della Costituzione». È così?
«Dal ‘48 a oggi la
Costituzione è stata modificata 35 volte. Tutti i cambiamenti andati a
buon fine erano leggeri, compatti, omogenei. Poi è arrivata la stagione
degli interventi pesanti. Il Titolo V nel 2001, letteralmente disastroso
nei suoi effetti, e la riforma proposta da Berlusconi nel 2005 poi
bocciata al referendum. Due interventi fatti a maggioranza come questo
proposto ora, eterogeneo, che modifica oltre 40 articoli della
Costituzione».
È possibile uno spacchettamento del quesito referendario per separare i temi da sottoporre all’elettore?
«La
materia non è disciplinata. L’articolo 138, che disegna il percorso
della revisione costituzionale, funziona per le riforme medio piccole».
Cosa teme di più della riforma che cancella il Senato?
«Il
caos che si cela dietro nove diversi procedimenti legislativi e il
fatto che si riporta indietro, a prima degli anni 70, il livello di
potestà legislativa delle Regioni».
Faccia un esempio di iter legislativo che finirà davanti alla Consulta.
«Mentre
dobbiamo ancora chiarire bene a cosa servirà il nuovo Senato, la
riforma prevede che la Camera si occupi di tutto tranne di quello che
non è “espressamente” attribuito alla competenza dello Stato. Bene, tra
le materie non disciplinate ci sono l’industria, l’agricoltura,
l’artigianato, le miniere, la pesca. Cosa succederà se una Regione
interverrà? Finirà che la Corte dovrà continuare a fare il vigile
urbano».
Il premier Renzi farà la sua campagna sul contenimento
dei costi della politica. Come farete a controbattere un tema così
popolare?
«C’è molta demagogia sul punto. È vero che si risparmia
in modo considerevole tagliando 200 senatori ma si poteva ottenere un
risultato analogo decurtando del 10% l’indennità dei parlamentari. E poi
bisogna spiegare agli italiani perché sono stati mantenuti i privilegi
delle Regioni a statuto speciale. Restano spese enormi che potranno
essere modificate solo con il consenso delle Regioni speciali
interessate. Mentre le Regioni ordinarie sono ridotte a mega Province».
Il «Sì» ha arruolato Jim Messina, il guru di Obama, e prepara il «kit» per i comitati territoriali. E voi?
«Tutto questo è estraneo alla mia sensibilità. Non vorrei che tanta gente in buona fede venisse indotta in errore».
Il fronte del «No» è politicamente molto eterogeneo.
«Ciascuno ha le sue contraddizioni. Il Pd deve vedersela con Verdini e con gli ex di FI confluiti nel Ncd».
Renzi ha smorzato i toni?
«Ha corretto il tiro ma è bene che lo faccia di più. L’impressione che rimane è quella di un plebiscito su se stesso».
Come finirà a ottobre?
«Deciderà il corpo elettorale. E speriamo che non passi il principio secondo cui il referendum deve essere per forza una rissa».