Corriere 4.5.16
I dannosi scambi di ruolo
di Michele Ainis
«E
tu, che lavoro fai?». «Il tuo». Alle nostre latitudini, succede di
frequente: lo sport più praticato è il gioco a rubamazzo. Perché i ruoli
di ciascuno non sono mai precisi, univoci, scolpiti sulla pietra.
Perché l’invasione di campo non può essere un delitto, quando manca il
campo. E perché, mentre in Italia gli incompetenti sono ormai legioni,
tutti si dichiarano pluricompetenti.
Le baruffe tra politica e
giustizia (ultimo episodio: l’arresto del sindaco di Lodi) trovano
proprio qui la loro miccia detonante, anche se per lo più non ci
facciamo caso. D’altronde si tratta d’una vecchia storia, che ci
accompagna da quando giravamo coi calzoni corti. Quante volte il Csm ha
cercato di rimpiazzare il Parlamento, dettando moniti e pareri non
richiesti sulle leggi da approvare? E quante volte il Parlamento si è
sostituito alle Procure? Provate a domandarvi chi sia il personaggio più
noto nell’azione di contrasto alle cosche mafiose. Risposta: Rosy
Bindi, presidente dell’Antimafia. Una Commissione parlamentare
d’inchiesta che rimbalza da una legislatura all’altra fin dal 1962, e
che fin qui ha alternato 15 diversi presidenti.
Chi fa cosa, ecco
il problema. Non solo nel rapporto fra giudici e politici: anche nelle
scuole, negli ospedali, nelle aziende pubbliche e private. Anche nei
ministeri, o nelle relazioni fra lo Stato e le Regioni. Dove gli
sconfinamenti hanno innescato oltre 100 conflitti l’anno dinanzi alla
Consulta, nel lustro successivo alla riforma del Titolo V .
Magari
adesso la riforma della riforma ci metterà una pezza, o magari aprirà
un altro contenzioso fra Camera e Senato, per regolare il loro diritto
di parola sulle leggi. Tanto, si sa, nel dubbio ognuno chiede la parola.
E il giudice che dovrebbe giudicare non di rado straparla a sua volta.
Per dirne una, nel 2015 le Sezioni unite della Cassazione (sentenza n.
19.787) hanno dovuto alzare la paletta multando il Tar del Lazio, che
pretendeva di surrogarsi al Csm nel conferimento degli incarichi
giudiziari direttivi.
Da qui la fortuna d’un mestiere ormai
praticato in lungo e in largo: il supplente. Irrinunciabile, a quanto
pare, nella scuola, dove quest’anno sono state assegnate 122 mila
supplenze, nonostante l’assunzione di 86 mila docenti. Anche in
famiglia, però, il reddito di cittadinanza al figlio disoccupato viene
garantito dal papà, l’asilo per i nipotini sta a casa dei nonni, mentre
del bisnonno s’occupa una badante ucraina. Tutti supplenti rispetto allo
Stato assente, come le associazioni di volontariato, come le fondazioni
bancarie, chiamate a turare le falle del welfare.
E se il nostro
ordinamento lesina i diritti civili, oltre a quelli sociali? Possiamo
sempre rivolgerci a un supplente di Stato, con una toga sulle spalle o
con una fascia tricolore al petto. Nel primo caso supplisce la
magistratura, che nel 1975 stabilì il diritto alla privacy (la legge
intervenne 21 anni dopo), nel 1988 offrì tutela al convivente more
uxorio (la legge manca ancora), mentre nel dicembre scorso il Tribunale
di Roma ha riconosciuto la stepchild adoption , proprio mentre il
Parlamento la disconosceva. Nel secondo caso entra in scena il sindaco:
per esempio trascrivendo i matrimoni gay (nell’ottobre 2014 Marino l’ha
fatto per 16 coppie) oppure con il Registro dei testamenti biologici
(fin qui adottato in 169 Comuni, oltre che dal Friuli Venezia Giulia a
livello regionale). E se invece il sindaco si rivela un incapace? Allora
tocca al supplente del supplente, nelle vesti del commissario
prefettizio. Il record è in provincia di Caserta, con 18 amministrazioni
comunali decapitate; tanto che la prefettura ha dovuto chiedere
rinforzi al ministero, perché da quelle parti i viceprefetti sono
soltanto 11.
Una Repubblica male ordinata reca più danni d’una
tirannia, diceva nel Cinquecento Donato Giannotti. Ieri come oggi, il
disordine è allevato da un ordinamento sovraccarico e confuso, dove le
leggi si fanno per decreto, dove i decreti durano quanto un volo di
farfalla. Sicché in ultimo il destino che ci aspetta sarà uguale a
quello già sperimentato da una maestra di Bergamo: licenziata a gennaio,
continua ad insegnare grazie alle liste fuori graduatoria. Proprio come
lei, ogni italiano diventerà ben presto il supplente di se stesso.
Michele Ainis