Corriere 28.5.16
Ma Renzi rassicura gli alleati centristi: decidiamo insieme
«Faremo questa riforma solo decidendo insieme» Il premier rassicura l’alleato
Nel Pd i vertici non informati degli emendamenti
di Francesco Verderami
In due anni il suo governo ha cambiato tutto: il mercato del lavoro, la scuola, la legge elettorale e perfino la Carta costituzionale.
Ma ci sarà un motivo se Renzi non è ancora riuscito a toccare la giustizia, se la riforma del processo penale continua a giacere in Parlamento. È questo il vero tabù: altro che l’articolo 18, le unioni civili e il bicameralismo paritario.
Periodicamente si ripropone la sfida ventennale tra potere politico e ordine giudiziario. Non è quindi un caso se il premier — che basa la sua forza anche sul controllo e la gestione dell’attività nelle Camere — proprio in tema di giustizia sia stato colto alla sprovvista al Senato, dove si sta discutendo sui tempi di prescrizione nei processi. Non è un caso che il blitz sia stato tentato dai due relatori del Pd, Casson e Cucca, che di fatto propongono modifiche in sintonia con la «linea dell’Anm». Così come non è un caso che nessuno nel Pd ne sapesse nulla: né il presidente dei senatori Zanda né il responsabile di partito Ermini, che in triangolazione con il governo gestisce la mediazione con gli alleati di Ncd.
Perciò la «scorrettezza politica» denunciata ieri mattina dal capogruppo centrista Schifani a Zanda non aveva fondamento, nel senso che lo stesso Zanda si sentiva vittima della «scorrettezza». Le buone relazioni tra colleghi hanno subito dissipato quei sospetti che nel corso della giornata si sono invece concentrati sul ministero della Giustizia, dato che Cucca è considerato assai vicino al Guardasigilli Orlando. E proprio Cucca al termine della giornata ha dovuto prendere le distanze da se stesso, annunciando il ritiro della firma da quegli emendamenti, dopo le irriferibili parole con cui il capogruppo democrat aveva apostrofato la sua iniziativa.
Se è vero che non è pensabile per il Pd riproporre sulla giustizia lo schema delle «maggioranze variabili» tentato (e fallito) con i Cinquestelle sulle unioni civili; se è vero che si tratta di «materia di governo», e che i verdiniani di Ala non intendono stavolta offrire sponde sulla «linea Anm»; è facile immaginare l’irritazione di Renzi a fronte di una operazione che sa di affronto. Uno squarcio dilatato dalle parole di Alfano, che ha evidenziato come il Pd «ancora una volta» fosse chiamato a scegliere «tra la vecchia sinistra e un profilo più riformatore». Il nodo è sempre quello, e chiama in causa Renzi, che non vuole apparire un giustizialista ma non vuole nemmeno schierarsi contro i giustizialisti per non indebolirsi sul fianco grillino.
Ecco il motivo per cui l’ultimo tabù ancora resiste e il governo non si muove con la stessa celerità applicata ad altri temi. Anzi, sul nodo delle intercettazioni e della loro pubblicazione — nodo che tocca importanti garanzie costituzionali — negli ultimi tempi il premier è parso frenare, tanto da derubricare la questione a un problema di «auto regolamentazione» della magistratura e dei media. Si vedrà se vorrà davvero cambiare verso, se è vero che il suo obiettivo è di ottenere «entro luglio» il voto del Senato sulla riforma del processo penale. Sarebbe il segnale di un cambio d’epoca.
Intanto, per allentare il clima di tensione che ieri si era creato nella maggioranza, bisognava sconfessare gli autori del blitz, per quanto farlo avrebbe offerto una plastica rappresentazione del passo falso. E avrebbe consentito ai grillini di attaccare i Democratici. Per tentare di limitare il danno è intervenuto Zanda con una dichiarazione d’altri tempi: perché serve aver frequentato la scuola di Cossiga per definire una «ipotesi di lavoro» gli emendamenti dei relatori, che nel meccanismo parlamentare interpretano al linea della maggioranza.
È stato il premier a dare disposizioni di ritorno dal G7 a Tokio, non ci sono dubbi, dato che tutto lo stato maggiore del Pd a sera ribadiva che «sulla giustizia non c’è spazio per maggioranze variabili». Resta da capire se, per dettare la linea, il capo del governo abbia approfittato dello scalo tecnico in Siberia, che all’andata gli era servito per lanciare la sua e-news contro la «ditta». «Renzi non è certo un giustizialista, e questo — dice un esponente dell’esecutivo — non è nemmeno il momento per chiedergli di farlo».
Sulla prescrizione non ci sarà una crisi di maggioranza, «l’intesa — secondo il premier — va raggiunta e chiusa con Ncd», e con Ala. Solo dopo, magari, si potrà pensare di ricorrere alla fiducia, ipotesi sulla quale il ministro Boschi è assai prudente. Per dare un colpo all’ultimo tabù è meglio prima verificare la forza.