Corriere 28.5.16
I candidati e il voto di giugno
Alla ricerca dell’identità
di Antonio Polito
Cos’è la destra, cos’è la sinistra, si domandava stralunato Giorgio Gaber prima di lasciarci. Se lo sono chiesti l’altra sera anche alla redazione di Sky, quando è arrivato il momento di decidere che cosa scrivere nel sottopancia dei candidati romani durante il prossimo dibattito televisivo previsto per martedì. Giachetti non voleva «Pd» ma «centrosinistra», Meloni allora voleva pure lei «centrodestra», ma Marchini ha con sé metà centrodestra e dunque si è ribellato, e anche Fassina avrà obiettato che il «centrosinistra» non è tale perché manca Sel che la volta scorsa c’era eccome nelle vittorie di Milano, Roma, Napoli e Cagliari, e allora la Raggi ha accusato gli altri di vergognarsi del nome del loro partito mentre lei può scrivere con orgoglio «M5S», e a questo punto Giachetti le ha risposto che si dovrebbe aggiungere «Casaleggio associati», e alla fine Sky ha lasciato perdere: nei sottopancia non si scriverà niente. Solo la sfilza di sigle e simboli, spesso misteriosi o ignoti, che sostengono i candidati al Campidoglio.
Sembrerebbe un episodio del folklore politico romano, l’ultima puntata della saga «Chi viene dopo Marino?».
M a l’incidente del sottopancia potrebbe invece anche essere il segno di un’epoca, l’epoca in cui i partiti sanno solo di non sapere chi sono e vogliono tutti essere qualcos’altro, possibilmente tutti «partiti della nazione». La crisi delle identità politiche, esplosa un quarto di secolo fa con l’irruzione sulla scena del berlusconismo, conoscerebbe così un nuovo inizio con il renzismo, ircocervo altrettanto difficile da definire.
Intendiamoci, può anche darsi che si tratti dell’ennesima intuizione profetica partorita dall’anomalia italiana: tutto sommato siamo il Paese che ha inventato l’antipolitica negli anni 90, e ora che è esplosa ovunque forse saremo anche il primo Paese che la fronteggerà inventandosi nuove e inedite aggregazioni al posto di Popolari e Socialisti, centrodestra e centrosinistra, la norma nel resto d’Europa.
Non deve essere quindi un caso se lo stesso Renzi guarda con tanto distacco a queste elezioni comunali, al punto da aver lanciato nel pieno della campagna elettorale amministrativa la campagna elettorale per un referendum che si svolge tra cinque mesi. Si vede che più che come segretario del Pd, Renzi preferisce essere giudicato come leader di quel partito trasversale del Sì cui partecipano, a proposito di «centrosinistra», due partiti di centrodestra, il Nuovo Centrodestra di Alfano e l’Ala di Verdini. Mentre i candidati sindaci del Pd tutto vorrebbero tranne che nelle urne comunali si giocasse un anticipo del referendum costituzionale, perché così rischierebbero sicuramente di perdere degli elettori già schierati con il No (per esempio nella Torino di Fassino, patria putativa e intellettuale dei difensori della Costituzione a oltranza).
Il meno che si possa dire è che grande è la confusione sotto il cielo, ma ciò nonostante la situazione non è eccellente. Gli strumenti tradizionali della politica non sono più a disposizione dei cittadini, le alleanze future tra i partiti sono al momento un rebus avvolto in un enigma, e quindi gli elettori dovranno trovare dei nuovi e speriamo efficaci criteri per decidere chi votare la prossima settimana. «Una bella minestrina è di destra, il minestrone è sempre di sinistra», cantava Gaber. Oggi il menù elettorale si è decisamente arricchito. Purché non siano minestre riscaldate.