Corriere 26.5.16
Comunali e referendum
Così potrebbero nascere due diversi centrodestra
di Francesco Verderami
ROMA
Due diversi appuntamenti elettorali, due diverse città, due diversi
modelli di coalizione: ecco le faglie che attraversa il centrodestra,
esposto al rischio sismico. Tra Amministrative e referendum, tra il voto
a Roma e il voto a Milano, tra l’opzione di un candidato premier
moderato o di un candidato premier lepenista, corre una linea di
frattura che cambierà definitivamente la geografia di quel continente
politico emerso ventidue anni fa.
Più si approssimano le urne per
le Comunali, più il sismografo segnala un aumento dell’attività
tellurica in quell’area. E il bollettino diramato ieri dal Cavaliere non
basta a nascondere i solchi sempre più profondi: non basta — per
esempio — sostenere che Forza Italia nella Capitale sarebbe pronta a
votare la Meloni al ballottaggio, tranne poi definire la leader di FdI
una «professionista della politica», che nel lessico berlusconiano
equivale a una scomunica. E c’è un motivo se, parlando della corsa al
Campidoglio, l’ex premier ha citato tutte le ipotesi di scuola, tranne
una: cioè l’eventuale duello al secondo turno tra Raggi e Giachetti.
Lì
si verificherebbe il primo clamoroso strappo tra chi — come la Meloni e
prima ancora Salvini — si è detto pronto a sostenere la candidata
grillina, e chi — come Berlusconi — ha già spiegato che «la priorità» è
«impedire la vittoria dei 5 Stelle», considerati un «fenomeno
pericoloso». È inutile quindi inseguire le voci su un patto che sarebbe
stato già stretto con il Pd, per non lasciar cadere Roma nelle mani del
Movimento: bastano le dichiarazioni pubbliche di Berlusconi, e quei tre
posti in giunta che Giachetti — annunciando la sua squadra — ha lasciato
vacanti.
È chiaro che una simile scossa si avvertirebbe ben oltre
il Raccordo anulare, e l’onda d’urto si propagherebbe nel centrodestra a
livello nazionale. D’altronde, per un Salvini che ha scritto un libro
per pre-candidarsi a premier, c’è un Cavaliere che ha in testa un’altra
trama: la scelta «la faremo quando si andrà alle elezioni», il nome lo
diranno «i sondaggi», e comunque «serve un uomo che venga dalla trincea
del lavoro». Insomma, «tutti» tranne Salvini. Che poi quel «tutti», per
Berlusconi, sarebbe ancora il solo Berlusconi, «perché con me in campo
Forza Italia tornerebbe al 37%» e «con me in campo a Palazzo Chigi ci
sarebbe il centrodestra, senza di me la sinistra».
Così l’ex
premier vorrebbe controllare e se possibile depotenziare l’altro punto
della faglia: l’esperimento milanese, incubatore di un nuovo modello di
centrodestra a trazione moderata. Finora Parisi è stato abile a
dribblare ogni accostamento con un futuro progetto nazionale, in modo da
sfuggire alla marcatura del Cavaliere. Se non fosse che anche Salvini è
passato alla difesa «a uomo», temendo di venir scavalcato nella corsa
per Palazzo Chigi, qualora si conquistasse di rimonta Palazzo Marino. Da
tempo si sono formate le squadre: di qua c’è La Russa, che spiega
perché «Milano non potrà mai essere un modello esportabile a Roma»; di
là c’è Lupi, che ricorda come «l’unico centrodestra di governo è a guida
moderata».
Finora le scosse non erano state percepite. Ma
avvicinandosi la data del voto, e soprattutto avvicinandosi Parisi a
Sala nei sondaggi, il capo del Carroccio ha iniziato un pressing
asfissiante sul suo stesso candidato, provocato a più riprese sul
referendum costituzionale, invitato alla manifestazione per il No,
«perché — dice Salvini — sono certo che Stefano si schiererà con il Sì
dopo le elezioni». «Stefano» per il momento non intende fare outing e
sfugge alla marcatura con l’abilità di chi conosce la politica per
averla frequentata: «Sono allenato ai dribbling...». Si vede.
Se i
sospetti del segretario leghista fossero fondati, se gli indizi
raccolti (e consistenti) diventassero una prova, un ulteriore terremoto
scuoterebbe il centrodestra. Ecco il terzo punto della faglia, che corre
lungo la linea marcata dalle Amministrative e dal referendum. Una
vittoria a Milano del centrodestra e un successivo appoggio alle
riforme, trasformerebbe il mondo che fu berlusconiano. Tanto da
dividerlo per sempre. A meno che, a quella scossa, non seguissero altre
scosse e la fase di assestamento non finisse per inghiottire le
ambizioni di Salvini, portando ad altri equilibri dentro la Lega. Ma gli
effetti dirompenti si avrebbero anche se il terremoto avesse uno
sviluppo diverso, e il segretario del Carroccio riuscisse a imporsi
sugli alleati. Perché sono due placche tettoniche, due diversi modelli
destinati a scontrarsi. Perciò tutti si preparano al «Big One».