Corriere 24.5.16
Gramsci e Guttuso , dialogo in rosso
I «Quaderni del carcere» accanto ai dipinti. Bazoli e Napolitano: «Quei testi, monumento morale»
di Annachiara Sacchi
In
qualche modo è un ritorno a casa. «Alcune testimonianze importanti —
rivela sorridendo Giovanni Bazoli, presidente emerito di Intesa Sanpaolo
— portano a ritenere quasi certo che fu Raffaele Mattioli, banchiere
umanista, a salvare i manoscritti di Antonio Gramsci in una cassaforte
della sede romana della Comit». Ebbene quei quaderni, restaurati e
digitalizzati, «sfogliabili» e «ingrandibili» su touchscreen ,
affiancati a due grandi tele di Guttuso, sono ora esposti a Milano, in
quella che una volta era la Banca Commerciale Italiana (la Comit,
appunto) e che adesso è lo spazio delle Gallerie d’Italia-Piazza Scala
di Intesa Sanpaolo. A dimostrazione che «passione politica e arte non
devono necessariamente coincidere, ma a volte può succedere».
Gramsci.
I Quaderni del carcere ed echi in Guttuso . S’intitola così la mostra
che presenta i trentatré manoscritti di Gramsci — stilati in prigione a
Turi e in clinica a Formia tra il 1929 e il 1935 — accanto a La
battaglia di Ponte dell’Ammiraglio (1955) e I funerali di Togliatti
(1972) di Renato Guttuso. È un dialogo inedito. Tra il filosofo-politico
e il pittore. Tra l’intellettuale e l’artista che «raccoglie l’eredità
gramsciana — spiega Ugo Sposetti, presidente dell’Associazione Enrico
Berlinguer — rappresentando nelle sue opere le idee di libertà, di
lotta, di riscatto». È come se il pensiero del Novecento si diffondesse
da uno dei suoi padri nobili a tutte le discipline. Economia,
letteratura, pittura. E Guttuso fa sua questa lezione nella Battaglia di
Ponte dell’Ammiraglio — la versione è quella destinata alla scuola di
formazione del Pci di Frattocchie — rievocando le note gramsciane
sull’impresa dei Mille, lo scontro tra democratici e moderati, il
Mezzogiorno prima e dopo l’Unità d’Italia. E ancora, quasi vent’anni
dopo, ne I funerali di Togliatti , in cui il pittore siciliano ritrae —
anacronisticamente — Gramsci (scomparso nel 1937) tra la folla che segue
il feretro.
Nessuna operazione nostalgia. Ma la consapevolezza
del lascito di Gramsci, uomo «dalla coerenza esemplare ed eroica»,
figura chiave «nel pensiero critico marxista», innovatore della cultura
italiana e non solo. A partire dai Quaderni del carcere . «Un grande
monumento morale», lo definisce il presidente emerito della Repubblica,
Giorgio Napolitano, intervenuto ieri alla presentazione della mostra.
«Un classico del pensiero politico». Di un livello che oggi appare
inarrivabile: «Gli scritti di Gramsci — commenta Bazoli — hanno
esercitato un’importante influenza nel rinnovamento della cultura
italiana del secondo dopoguerra. Un confronto con il dibattito politico
odierno mostra impietosamente una grande distanza culturale». Di nuovo
Napolitano: «Gramsci ci insegna a fare politica pensando, a scegliere
sulla base della conoscenza storica e della riflessione intellettuale.
Questa è una grande lezione di metodo, di identificazione fra politica e
cultura». Pausa. «Di cui, ora, si sente fortemente la mancanza».
I
Quaderni — la risistemazione, in via di completamento, è affidata
all’Istituto centrale per il restauro e la conservazione del patrimonio
archivistico e librario — arrivano a Milano dopo essere estati esposti a
Torino per il Salone del libro. Sono sistemati all’interno di teche,
disposti nella successione cronologica stabilita nell’edizione critica
del 1975 (Einaudi) e consultabili in formato digitale. Da notare la
grafia, minuta e regolare. «La nostra missione — dice Silvio Pons,
direttore della Fondazione Istituto Gramsci — è la tutela dell’eredità
intellettuale di Gramsci». Alla morte del politico, nel 1937, i Quaderni
furono presi in consegna dalla cognata Tatiana Schucht. Secondo una
testimonianza di Nilde Iotti, furono messi al riparo nella cassaforte
della Banca Commerciale (la stessa Iotti disse che Raffale Mattioli e
Piero Sraffa «avevano finanziariamente aiutato Gramsci per il periodo di
ricovero in clinica»). Alla fine del ’38 gli autografi arrivarono in
Urss. Tornarono in Italia nel ’45.
La mostra, aperta fino al 17
luglio, prevede un ricco programma di visite, incontri, conferenze. Per
conoscere un personaggio chiave del secolo scorso e la sua profonda
umanità: «Io non parlo mai dell’aspetto negativo della mia vita —
scriveva alla madre nel 1931 — prima di tutto perché non voglio essere
compianto: ero un combattente che non ha avuto fortuna nella lotta
immediata, e i combattenti non possono e non devono essere compianti,
quando essi hanno lottato non perché costretti, ma perché così hanno
essi stessi voluto consapevolmente».