Corriere 24.5.16
«L’aggressività di Pechino spinge i Paesi dell’area ad avvicinarsi agli Usa»
di Massimo Gaggi
NEW
YORK «L’accordo militare e commerciale col Vietnam è di grande
importanza anche politica per gli Stati Uniti. Non è solo la
cancellazione di un embargo sulle armi ormai anacronistico, visto che la
Guerra Fredda è finita da decenni. Questo Paese, fino a quarant’anni fa
in guerra con l’America, ora vuole fortemente un aiuto americano per la
sua difesa. E gli Stati Uniti forniranno equipaggiamenti importanti:
una settimana fa i rappresentanti di tutti i principali gruppi
dell’industria bellica Usa sono stati ad Hanoi per incontri col governo.
E il Pentagono otterrà l’accesso alle basi militari costiere del
Paese».
Più ancora del G-7 in Giappone e della visita a Hiroshima,
secondo Ian Bremmer, politologo che conosce molto bene il Sud-Est
asiatico per la fitta rete di contatti creata come fondatore e capo di
Eurasia, è nella tappa vietnamita che va trovata la sostanza di questo
viaggio del presidente americano al di là del Pacifico.
Per una volta, niente critiche per gli insuccessi internazionali di Obama...
«Al
presidente è andata male in Medio Oriente e nel rapporto con la Russia.
Sono, invece, migliorate le relazioni degli Stati Uniti coi Paesi
dell’America Latina e quelli dell’Estremo Oriente. In Sud America la
Casa Bianca ci ha messo poco di suo: ci sono governi che avevano
imboccato strade diverse, hanno fallito e ora stanno tornando sui loro
passi. In Asia ci ha pensato la Cina con la sua aggressività e il suo
espansionismo a spaventare i vicini spingendoli nelle braccia degli Usa.
Obama ha colto l’occasione impegnandosi a fondo. una visita di tre
giorni in un Paese, oltretutto non di prima grandezza, è assai inusuale.
Il presidente sta incontrando tutta la nuova dirigenza vietnamita a
tutti i livelli e farà diversi discorsi in pubblico».
I cinesi hanno fatto buon viso: non criticano la fine dell’embargo, ma di certo non sono contenti.
«No,
non lo sono, ma non possono fare molto. Hanno spaventato i vicini
occupando aree crescenti del Mar Cinese meridionale e non credo che Xi
Jinping cambierà la sua strategia espansionistica, ha motivi di politica
interna per restare su quella rotta. Il rapporto tra Pechino e Hanoi è
sempre stato strano, con le sue ambivalenze: Paesi comunisti
politicamente fratelli ma nemici per ostilità di antica data e interessi
strategici divergenti. Che però, poi, sono molto integrati
economicamente. L’America fornirà armi e la Boeing sta vendendo cento
aerei a una compagnia vietnamita, ma la Cina resterà di gran lunga il
primo partner commerciale del Paese indocinese: su questo bisogna essere
realisti».
Impegno massiccio quello di Obama. E anche
politicamente rischioso: ci sono vecchie ferite della guerra che si
stanno rimarginando, ma è, invece, aperta quella dei diritti umani che
in Vietnam continuano a essere violati.
«È vero ma la Casa Bianca
da tempo ha assunto una linea pragmatica su questo fronte: chiede
impegni e progressi, ma dialoga anche con chi non ha la fedina
totalmente pulita. E il riavvicinamento al Vietnam non è di certo una
storia che spunta oggi: è iniziato più di 15 anni fa con Bill Clinton.
Ci sono segnali importanti come l’apertura di un’università indipendente
americana e l’ingresso dei Peace Corps Usa in Vietnam. Può essere
l’inizio di una svolta anche culturale o solo un fatto simbolico. Ma il
cambiamento verrà con l’intensificazione dei rapporti. Obama in Vietnam
parla alla gente e coi dissidenti. Certo, continua una dura repressione e
non c’è libertà di stampa. Ma, magari per carenze tecniche dei
sorveglianti, Facebook e gli altri social media si muovono con una
libertà che in Cina non c’è».