lunedì 23 maggio 2016

Corriere 23.5.16
La Palma rossa di Loach
L’autore vince con il film sui nuovi poveri inglesi:
«No al sistema neoliberale». Grand Prix a Dolan
di Stefania Ulivi

Cannes I, Ken Loach. «Il mondo in cui viviamo si trova in una grave situazione, le idee che chiamiamo neo-liberiste rischiano di portarci alla catastrofe, ovunque. Ma la disperazione è pericolosa, voglio dare un messaggio di speranza: un mondo migliore è possibile e necessario». Aveva pensato di smettere con il cinema e invece la storia di I, Daniel Blake , il film con cui ha conquistato la sua seconda Palma d’oro, dieci anni dopo Il vento che accarezza l’erba , lo ha convinto a non fermarsi. L’odissea kafkiana di un bravo carpentiere, gran lavoratore (Dave Johns), spinto ai margini della società da un sistema assistenziale iper-burocratizzato e spietato. «Da questo palco voglio ricordare le tante persone che abbiamo incontrato durante le riprese nelle banche alimentari che sfamano la gente del mio Paese, il quinto più ricco del mondo». Ottant’anni da compiere il prossimo 17 giugno, il regista inizia a parlare in francese, davanti alla standing ovation del Gran Theatre Lumière con Laurent Lafitte a fare da maestro di cerimonie. Al suo fianco l’amica di sempre, la produttrice Rebecca O’Brien, la prima a festeggiare il suo ritorno sul set con il fido sceneggiatore Paul Laverty. È il film più politico di tutta la selezione di Cannes 69. L’incontro tra Daniel Blake e Katie (Haley Squires), disoccupata madre single di due figli, fa nascere sì un embrione di famiglia ma più che i sentimenti in primo piano sta battaglia di autodifesa per la sopravvivenza.
Ci ha pensato Xavier Dolan a riportare in primo piano cuore e emozioni. L’enfant prodige del cinema d’autore già premiato due anni fa per Mommy , sfiora la Palma d’oro con Juste la fin du monde . A lui il Gran Prix. Ed è un fiume in piena.
«L’emozione non è sempre facile da condividere, tutto quello che facciamo nella vita lo facciamo per essere amati». Cita, tra lacrime e singhiozzi, Anatole France pensando ai suoi personaggi danneggiati presi in prestito dalla pièce di Jean-Luc Lagarce, morto di Aids nel 1995, quando lui era bambino. «Preferisco la follia delle passioni alla saggezza dell’indifferenza». All’insegna della sorpresa il resto delle decisioni della giuria. La «George Miller Jury Road» è stata, evidentemente, tortuosa, si è capito dalle parole del regista di Mad Max . «Le deliberazioni sono state selvagge, magnifiche, appassionanti». E spiazzanti. Come l’ex aequo per la miglior regia a Olivier Assayas per Personal Shopper e Cristian Mungiu per Bacalaureat che tra tante celebrazioni e auto-celebrazioni invita all’autocritica. «Il cinema d’autore non è in buona salute, siamo chiusi in una nicchia». O il premio per gli attori: Jaclyn Jose per Ma’ Rosa di Brillante Mendoza e Shahab Hosseini, star del film con cui Asghar Farhadi vince per la miglior sceneggiatura. Due donne nel palmares: Andrea Arnold, Premio della Giuria per American Honey, l’on the road su cui Miller mette la firma, e l’esordiente franco-marocchina Houda Benyamina che vince la Camera d’oro per Divine e chiude il suo discorso al grido «Cannes à nous». Ma non è ancora il tempo. Jane Campion resta, ancora, l’unica regista da Palma d’oro.