Corriere 23.5.16
L’attrice del film sulle prostitute «L’Islam oggi odia donne e sesso»
di Stefano Montefiori
PARIGI
«Il Marocco mi manca molto, non avrei mai immaginato di vivere altrove.
Ma è come il dolce preferito di un diabetico: il medico lo sconsiglia,
in questo momento non fa per me». Loubna Abidar si è rifugiata in
Francia dopo mesi di persecuzione nel suo Paese, culminati
nell’aggressione subita a Casablanca il 5 novembre scorso: tre uomini la
riconoscono per strada come la protagonista del film Much Loved in cui
interpreta una prostituta «disonorando il Marocco e l’Islam». La
costringono a salire in auto, la coprono di insulti e la picchiano a
sangue. Le cliniche rifiutano di prestarle soccorso, in commissariato i
poliziotti la deridono senza registrare la denuncia.
La mattina
seguente Loubna dà un bacio al marito brasiliano Bernardo e alla figlia
Luna di 6 anni, e prende il primo volo per Parigi. Il libro La
dangereuse è il racconto della sua vita e del maschilismo della società
marocchina, scritto a quattro mani con Marion Van Renterghem, grand
reporter a Le Monde . Incontriamo entrambe nei locali di Stock, la casa
editrice parigina.
Perché ha deciso di scrivere un libro?
«Sono
stata costretta dai media marocchini, che dopo la presentazione di Much
Loved l’anno scorso a Cannes hanno raccontato ogni genere di falsità su
di me. Per esempio che sarei davvero una prostituta. Non perdonano a me
e al regista Nabil Ayouch di avere raccontato la grande ipocrisia del
mondo arabo, l’ossessione per il sesso tra divieti e prostituzione,
anche infantile; le orge con i ricchi sauditi che vengono da noi per
ubriacarsi».
Nel libro lei racconta anche le violenze subite in famiglia da suo padre, quando era bambina.
«All’inizio
non volevo, Marion mi ha convinta». «Ho insistito perché è una
questione centrale, non solo nella vita di Loubna — dice Marion Van
Renterghem —. La sua vicenda è esemplare di certe tradizioni. L’obbligo
della verginità fino al matrimonio, e la banalità degli abusi in
famiglia prima delle nozze». «Marion è venuta con me a Marrakech —
riprende Loubna Abidar —, ha conosciuto mia madre e la mia casa di
infanzia, siamo state nell’hammam assieme. Per me è stata come una
terapia».
All’età di sei anni, allo zio che le chiedeva che
mestiere volesse fare da grande, lei rispose entusiasta «Voglio essere
una puttana celebre nel mondo intero!», rimediando un ceffone.
«Perché
non avevo mai sentito la parola “attrice”. Le donne che vedevamo in tv,
nei film egiziani tollerati di malavoglia, in casa mia venivano
chiamate “le puttane”. E io pensavo che quello fosse il termine normale
per le donne che recitano nei film».
In Francia il libro sta avendo un grande successo. E in Marocco?
«La
campagna contro di me è ricominciata, mi coprono di insulti perché
dicono che parlo male del mio Paese. Anche se nessuno ha letto il libro,
come nessuno ha potuto vedere il film. Io adoro il Marocco, ma non mi
faranno mai stare zitta. Sulla mia pagina Facebook sono ricominciate le
minacce di morte, una donna dice “ma perché non la ammazzano” e tutti le
dicono “brava”».
Nessuna donna si è schierata dalla sua parte?
«Lina
Bikiche mi aiuta molto. È una ragazza marocchina che da mesi prende le
mie difese su Internet. Ma abita a Tolosa e ha anche il passaporto
francese. In Marocco non potrebbe mai osare tanto».
Lei critica l’«Islam di oggi». Che cosa significa?
«Che
le cose sono cambiate, sono diventate più estreme, c’è troppo odio.
Subiamo l’influsso dei canali tv dell’Arabia Saudita, dell’Egitto o del
Qatar, pieni di imam che parlano solo contro le donne e il sesso, che
spiegano ai mariti come convincere la sposa ad accettare altre tre
mogli... Dovremmo riscoprire piuttosto altre tradizioni, come quella
amazigh (berbera) alla quale appartengo. Sono musulmana, ma non porto il
velo».
Però ha dovuto indossare il burqa, per sfuggire alle aggressioni a Marrakech.
«Come
un’esperienza da attrice. Ti senti chiusa in una gabbia, non si riesce
neanche a respirare, un caldo insopportabile. Il burqa non è previsto
dalla religione. La prima moglie del Profeta, Khadija, era commerciante
nel suk, non portava certo il burqa».
Alla fine lei è riuscita nel suo sogno da bambina, è un’attrice. È contenta, nonostante tutto?
«Sì,
ma ho pagato un prezzo molto alto. E in questi giorni, di nuovo, mia
madre non mi parla più, non risponde al telefono. Era orgogliosa di me
quando ho cominciato a guadagnare, girando i primi telefilm. Ma adesso
starà soffrendo per quel che la gente dice su di me, su “Loubna la
pericolosa”. Spero di tornare a Marrakech nei prossimi giorni, per il
compleanno di mia figlia, ma ho paura che mia mamma dirà a me quel che
nel film la madre dice a Noha: “Vattene, e non tornare”».