Corriere 23.5.16
«La mia vita in corsia come unico non obiettore tra vacanze interrotte e ostacoli alla carriera»
di Simona Ravizza
La
sua vita da medico abortista la definisce faticosa, dolorosa, perfino
pericolosa. Unico ginecologo non obiettore dell’ospedale, il Niguarda di
Milano, tra i più importanti d’Italia e da sempre culla di Comunione e
Liberazione, Maurizio Bini, 58 anni, non ha potuto essere presente alla
morte del padre: «Era programmata una seduta di interruzioni di
gravidanza proprio quel giorno. Quale altra scelta avevo?». La famiglia è
finita in secondo piano anche tutte le volte che ha dovuto saltare le
ferie, come un indimenticabile 2 giugno: «Sono ritornato dalle vacanze
apposta, perché una ragazza albanese giovanissima non era riuscita a
trovare in tutta la Lombardia qualcuno che la aiutasse ad abortire prima
che scadessero i termini di legge, nonostante il feto avesse una grave
malformazione».
Le difficoltà di una vita trascorsa, come dice
lui, sulla frontiera della morale, sono infinite: «Sacrifici in termini
di progressione di carriera, considerazione sociale e quantità di
energia sottratta ad altre ben più gratificanti attività professionali».
Dopo 33 anni d’ospedale Bini non ci gira intorno: «Resistere alle
seduzioni di una vita più semplice e comoda non è stato facile, anche
perché nel tempo la situazione è andata peggiorando. Le nuove
generazioni di ginecologi sono meno consapevoli dei drammi che vivevano
le donne prima della legalizzazione dell’aborto (avvenuto nel 1978 con
la legge 194, ndr ). Così il numero di medici non obiettori si è via via
ridotto, a scapito di chi restava — spiega Bini —. Nel mio ospedale
abbiamo raggiunto l’apice con un solo medico su 17 che praticava le
interruzioni di gravidanza, con il rischio di bloccare il pubblico
servizio. Solo negli ultimi mesi sono stati assunti 2 giovani ginecologi
che possono partecipare alle attività della legge 194. E la situazione è
migliorata». Ma l’allerta deve restare alta: «Bisogna vigilare — dice
il ginecologo —. L’attività delle interruzioni di gravidanza tende
naturalmente a contrarsi in base alle esigenze organizzative. Nel tempo,
io avevo tolto ogni limitazione di accesso al servizio. Ora invece a
Niguarda vengono accettate solo 10 donne, 2 volte la settimana. E in
altri ospedali va anche peggio».
È una strada a ostacoli anche
l’utilizzo della Ru486, la pillola che consente l’aborto farmacologico:
«Nonostante l’aumento dei medici abortisti si sta assistendo a una
contrazione dell’attività — spiega —. L’attuale assetto legislativo (con
3 giorni di ricovero, ndr ) comporta una burocrazia tale da scoraggiare
chiunque. Così dalle 40 interruzioni farmacologiche mensili siamo scesi
alle 3-4 attuali. Tutto ciò comporta un aumento degli interventi
chirurgici e delle liste di attesa».
Per Maurizio Bini essere non
obiettore è stata una fatica anche perché guida da sempre il Centro di
riproduzione assistita dell’ospedale: «Ho una percezione chiara del
valore infinito della vita. Ma fra i pochi motivi di orgoglio di una
lunga carriera medica c’è quello di essere sopravvissuto occupandomi di
aborto, embrioni e transessuali in un Paese e una Regione, la Lombardia,
non proprio pro-choice». Rimangono i rimpianti per una legge applicata
solo parzialmente sul fronte della prevenzione. Chissà se adesso, con un
po’ più di aiuto in più, avrà il tempo per dedicarsi alla nuova sfida.