Corriere 22.5.16
Dante, compleanno da pop star
E Pisa gli perdona l’invettiva
di Paolo Di Stefano
Non
si era mai visto un centenario che dura sette anni. Dante Alighieri ci
regala anche questa eccezionalità. Anno di nascita 1265: dunque 750 anni
scoccati nel 2015. Anno di morte 1321: dunque 700 anni che scoccheranno
nel 2021. L’Alighieri si mangia persino Shakespeare e Cervantes, che si
limitano ad essere celebrati quest’anno. Ora tocca a Pisa: incontri,
mostre, installazioni, spettacoli, passeggiate e film in suo onore tra
il 25 e il 28 maggio. La città «vituperio de le genti/ del bel paese là
dove ‘l sì suona», secondo la famosa invettiva legata all’episodio del
conte Ugolino. A Marco Santagata, che insegna a Pisa, si devono gli
ultimi studi su Dante, i più autorevoli, consegnati ai Meridiani
Mondadori delle Opere e a diversi libri divulgativi, compresa una
biografia e compreso un romanzo: Come donna innamorata . E a lui si deve
la kermesse pisana.
«Queste celebrazioni sono diverse dalle
altre, non solo per la durata. Di solito si tratta di appuntamenti
soprattutto accademici, in questo caso no. Sono spesso iniziative
spontanee nei luoghi più impensati: circoli, gruppi, associazioni, che
coinvolgono artisti, attori, poeti, scrittori... Il discorso su Dante
ormai è diffuso. Dante è l’unico dei grandi capace di suscitare questa
sensibilità e capacità inventiva, come se la sua presenza permeasse
davvero la vita culturale italiana».
Se è un fenomeno nuovo, come si spiega?
«Dante
in quanto personaggio è entrato nel circuito della comunicazione, è
diventato una specie di pop star presente nella pubblicità, nel cinema,
nella narrativa di consumo, nel fumetto. Sto parlando della sua
immagine, più che della sua opera: certo non è un fenomeno recente, ma
le possibilità di risonanza attuali propagano le sue onde. La sua
presenza nel mondo si innesta anche nella memoria scolastica degli
italiani, aumentando l’effetto».
Quanto hanno contribuito alla conoscenza della «Commedia» Sermonti e Benigni?
«A
Sermonti si deve la diffusione, negli anni 80-90, della moda della
lettura pubblica, che ha contribuito ad allargare il pubblico. Benigni
ha rotto definitivamente il cerchio delle élite: la sua è una lettura
filologica, efficace e coinvolgente anche se priva di effetti speciali e
anche il suo commento è trascinante, pur senza mai forzare le tinte».
Pisa celebra Dante, che ne invocò la distruzione apocalittica: l’infamia è caduta in prescrizione?
«Ritengo
che Dante, rispetto a Pisa, abbia vissuto un cambiamento di prospettiva
radicale. Quando scrive l’ Inferno , nel XXXIII canto celebra il conte
Ugolino come il simbolo del martirio guelfo per mano ghibellina.
Ricordiamoci che Dante scrive la prima cantica per presentarsi ai
fiorentini neri come uno di loro. Anche il ghibellino Guido da
Montefeltro finisce condannato come un consigliere di frode. È tutto
pensato in chiave di esaltazione dei campioni guelfi, perché Dante
confida ancora nell’amnistia personale. Quando nel 1308 Corso Donati
muore, quella speranza cade e nel Purgatorio cambia tutto».
Dante cambia bandiera?
«Comincia
a sostenere le tesi contrarie. Mentre Federico II viene condannato all’
"Inferno" come epicureo, suo figlio Manfredi, scomunicato come il
peggior nemico della Chiesa e capo dei ghibellini italiani, trova posto
nel " Purgatorio" con il suo pentimento. Lo stessa cosa accade con
Bonconte da Montefeltro, figlio di Guido. C’è un rovesciamento di
prospettiva. Quando Arrigo VII, nel 1310, scende in Italia, in un primo
momento Dante è scettico, ma poi si riempie di entusiasmo sperando che
davvero l’imperatore voglia cambiare l’Italia e diventa filoimperiale a
oltranza».
E Pisa che ruolo ha?
«Arrigo VII all’inizio del
’12 fa base proprio a Pisa e secondo me Dante da Genova si trasferisce
lì. A far cosa? A scrivere la Monarchia , avendo bisogno di informazioni
dirette sulla curia imperiale e sulla sua produzione legislativa.
Nell’agosto 1313, con la morte dell’imperatore, che verrà sepolto nel
Duomo di Pisa, il partito ghibellino si squaglia e il capo della città
diventa Uguccione della Fagiola, con cui Dante era già in buoni rapporti
e dal quale probabilmente ha avuto protezione. Quando poi i pisani, nel
’15, lo cacciano, Uguccione finisce a Verona, al servizio di Cangrande
della Scala: ed è probabile che Dante, grazie a lui, sia stato accolto
nella corte scaligera. Tenga presente che già tre anni fa abbiamo fatto
un convegno a Pisa sulla Monarchia , dando per scontato che fu scritta
in questa città».
Rimane ancora molto da fare su Dante?
«Ci
vuole una bella fantasia. Da una parte gli studi di Dante imperversano, e
aumenta il dilettantismo esibizionistico, che andrebbe scoraggiato.
Dall’altra, per la diffusione vera della conoscenza non guastano le
iniziative spontanee, che spesso, più delle celebrazioni ministeriali,
sono piene di fantasia: cene, passeggiate, itinerari, siti internet
interessanti...».
Che cosa manca?
«Mancano i lavori di
sintesi che si propongano di far capire gli elementi centrali del
pensiero di Dante, della sua poesia e della sua vita, lavori capaci di
fornire un quadro organico. Il rischio è la dispersione della
bibliografia specialistica. Auspicherei, per esempio, una nuova
Enciclopedia dantesca: uno strumento utile agli studiosi ma anche alle
persone colte e curiose, magari disponibile in Rete».
Com’è cambiata l’idea di Dante in questi anni?
«Il
rapporto tra Dante uomo e lo scrittore è stato scrostato di molti
luoghi comuni ed è più sfaccettato. Si comincia a leggere diversamente
la Commedia come poema teologico certo, ma soprattutto come un’opera
intrisa di attualità politica, quasi un instant book , un libro in cui
Dante giorno per giorno riversa i suoi rancori, le sue delusioni, le
passioni, i furori, le idee, gli avvenimenti appena vissuti. Dante è
sempre sulla notizia, e non è mai una notizia oggettiva, ma parziale, la
Commedia è la cronaca non di chi giudica dall’alto ma di chi è nel
mezzo della lotta. Certo, questa vivacità tarda a entrare nella scuola,
perché il legame tra scuola e ricerca si è interrotto».
A parte il
suo romanzo, che percorre e reinventa i rapporti di Dante con Bice e
con l’amico-nemico Cavalcanti, come viene raccontata la sua figura dalla
narrativa recente?
«Dan Brown ha cercato di costruirci sopra un
bestseller e ce l’ha fatta. Ma Dante entra come personaggio romanzesco
anche in altri gialli, per esempio quello di Francesco Fioretti, che ha
venduto decine di migliaia di copie. Ma in questi libri il protagonista è
e non è Dante: direi che è un pretesto. C’è sempre dietro l’esempio di
Umberto Eco e del Nome della rosa , cioè del romanzo storico
confezionato come un thriller».
Altri esempi meno legati alla biografia?
«Ci
sono aspetti meno appariscenti: Walter Siti utilizza molto Dante, nei
suoi romanzi, come scheletro narrativo, riprendendo, per esempio,
l’alternanza prosa-poesia della Vita nova . E mi chiedo se un visionario
come Antonio Moresco non abbia dietro un’ispirazione dantesca...».
Forse nei poeti la presenza di Dante è più profonda anche se meno esibita?
«Direi
di sì, si coglie una maggiore continuità: tanti sono i poeti che
sottotitolano le loro opere come “commedie”. La poesia italiana si è
sempre giocata nell’opposizione Dante-Petrarca: Mario Luzi aveva
segnalato come per la sua generazione l’archetipo era la purezza di
Petrarca, ma nei momenti più cupi era inevitabile tornare a Dante. La
funzione Dante, nella poesia italiana, si sposa con l’idea di
tragicità».