Corriere 22.5.16
Pannella e la sinistra due strade parallele
di Paolo Franchi
Sul
portone di Botteghe Oscure, per dire, prese uno schiaffone da un
compagno della «vigilanza», indifferente alla rosa che gli veniva
offerta: era il maggio del 1976, i radicali si apprestavano a fare
opposizione in Parlamento (e la fecero, eccome, anche se erano solo in
quattro) ai governi di solidarietà nazionale, e l’Unità parlava
sprezzantemente di lui come di Pannella Giacinto, detto Marco. Ma, meno
di vent’anni prima, quel portone Pannella lo aveva varcato per parlare a
quattr’occhi con Palmiro Togliatti, lo stesso Togliatti che, piegando
le ritrosie di Enrico e Giovanni Berlinguer, aveva sponsorizzato lo
scioglimento del Cudi, l’associazione degli universitari
socialcomunisti, e la loro confluenza nell’Unione goliardica italiana,
di cui Pannella era stato ed era tuttora magna pars. «Sa, onorevole, noi
radicali siamo forse gli ultimi illuministi», azzardò Marco. «Se è per
questo non si preoccupi, è un peccato veniale», replicò il Migliore. E
tredici anni dopo, quando venne giù fragorosamente il Muro di Berlino, e
Achille Occhetto si provò, senza successo, a dar forma alla Cosa
chiamata a subentrare al Pci, Pannella fu, all’inizio, prepotentemente
della partita. Provocando parecchie reazioni, tra il preoccupato e
l’indignato, all’idea che stesse nascendo un improbabile «partito
radicale di massa».
Tutto questo per dire che certo, allo
«scandalo inintegrabile» Marco Pannella la sinistra reale di questo
Paese, e forse lo stesso concetto di sinistra, andavano stretti,
strettissimi: ma pure, come ha ricordato Pierluigi Battista, che nella
sinistra, contro la quale pure quotidianamente lanciava i suoi strali,
il liberale, libertario, libertino Pannella era ancorato. Nel suo
irripetibile modo, naturalmente: e cioè come vivente (e ostentato fino
all’insopportabilità) segno di contraddizione. Fu così, naturalmente,
negli anni Settanta, che nella vulgata si ricordano pressoché solo come
anni di piombo ma furono, grazie in primo luogo a lui, anche anni di
diritti e di libertà. O, più precisamente, di una secolarizzazione della
società italiana e di un nuovo individualismo di massa che misero in
crisi vistosa la Dc fanfaniana, certo, ma incrinarono pure, e quanto in
profondità lo si sarebbe visto nel volgere di po chi anni, il
radicamento politico, sociale e culturale di un Pci che pure, in termini
elettorali, ne traeva il massimo giovamento. Lo colse, e lo visse come
un pericolo mortale, Enrico Berlinguer, che detestava Pannella e ancor
più la «società radicale» di cui scriveva Gianni Baget Bozzo. E lo colse
pure, ma nello spirito opposto di chi su questa grande trasformazione
faceva affidamento per il proprio futuro politico, Bettino Craxi:
Pannella lo conosceva benissimo sin dai tempi delle battaglie
universitarie, e lo considerava un interlocutore da ascoltare, sì, ma da
prendere con le molle (per evitare, diceva lui, di farsi
«impannellare»), e per un lungo tratto anche, e soprattutto, un
concorrente. Nessuno o quasi lo ricorda più, ma molto si scrisse e si
discusse, tra i Settanta e gli Ottanta, su chi dei due avrebbe potuto
essere il Mitterrand italiano; e, a corsa ormai finita, fu a Pannella
che Craxi provò in extremis a intestare, senza successo, quel che
restava del Psi.
Storie di ieri, anzi, dell’altro ieri. Storie di
quando c’era la sinistra, e Pannella, il liberale di strada abilissimo
nel praticare i piani alti come i sottoscala della politica, poteva
immaginare di influenzarne le sorti, o addirittura di prenderne,
direttamente o indirettamente, la guida. Ma chi in queste ore lo
presenta come una specie di precursore di Beppe Grillo e del grillismo
dovrebbe tenerne conto. E ricordare pure che qualcosa (nel caso di
Pannella: moltissimo) contano anche i valori, o se volete i sogni,
almeno nella misura in cui si riesce a tradurli in realtà. Altro che
giustizialismo, altro che tintinnar di manette. Non so se tra i sogni di
Marco, il garantista inesausto e inesauribile combattente contro la
partitocrazia e i «ladri di legalità», ci sia stato quello (anarchico)
di un mondo senza galere. Di sicuro c’è stato, sino alla fine, un
impegno fortissimo e vissuto dolorosamente per gli ultimi in carne e
ossa, i carcerati. Non ha ottenuto molto, e ha trovato pochi compagni di
strada. Tra questi, mi piace ricordarlo, Giorgio Napolitano. Che,
salutandolo per l’ultima volta sull’ Unità , ha scritto: «Abbiamo per
decenni camminato per sentieri paralleli, attraverso consensi e
dissensi, separandoci e ritrovandoci, sempre rispettandoci a vicenda e
restando legati da sentimenti comuni e da solidarietà di fondo». Non è
vero per tutta la sinistra, ma per la parte migliore della sinistra, sì.