Corriere 21.5.16
Il leader senza eredi e la guerra tra radicali
La donazione di 100 mila euro di due mesi fa e il testamento in Croazia
I nodi: simboli, fondi e sede
ROMA
Separati in casa. Da una parte la vecchia guardia che difende il
fortino della memoria: i simboli, la radio, la storia. Dall’altra, i
giovani che si presentano alle elezioni, raccolgono firme e rivendicano
il presente e il futuro. La morte di Marco Pannella segna la fine della
storia radicale per come l’abbiamo conosciuta. Il futuro è tutto da
costruire. Ma se è vero che il vecchio leader non ha eredi, è anche vero
che siamo di fronte a una situazione paradossale. Con un rischio
concreto: non più qualche ripudio o defenestrazione, come da tradizione
pannelliana, ma la spaccatura tra due mondi che fanno fatica a parlarsi.
L’«eredità»
di Pannella? Maurizio Turco sorride: «Non c’è alcuna eredità, Marco non
possedeva nulla». Eppure non è proprio così. Pannella è stato finora il
padre nobile, ma anche il garante e, di fatto, il proprietario di
molto: dei simboli (dalla Rosa nel Pugno alla Lista Pannella) e della
sede di via di Torre Argentina. Insieme a lui, hanno gestito tutto i
fedelissimi Maurizio Turco, Matteo Angioli e Rita Bernardini. Che ne
sarà ora? E che ne sarà della radio, che con Massimo Bordin e Alessio
Falconio è stata sempre vicina ai dirigenti storici? Turco, prima della
morte di Pannella, al Corriere aveva previsto qualche «bacio di Giuda».
La guerra è scoppiata all’ultima assemblea del 23-24 aprile. Ma è solo
l'inizio.
Non è chiaro se vi sia un testamento di Pannella.
L’ultimo di cui si ha notizia, si sussurra, risale al 2011, quando andò
in Croazia. Ma qualcosa è cambiato negli ultimi due mesi. È passata
quasi sotto silenzio, nonostante un comunicato ufficiale, una
«donazione» di Pannella, già malato e rinchiuso nella casa di via della
Panetteria: il 25 marzo il leader radicale ha versato 100 mila euro di
tasca sua. Cinquantamila sono finiti al Comitato mondiale per lo Stato
di diritto, presieduto da Giulio Maria Terzi (segretario Matteo
Angioli). Altri 50 mila sono finiti al «partito». Che non ha un
presidente e non fa un congresso dal 2011. Ma è di fatto nelle mani
della vecchia guardia.
E i giovani? Paradossalmente sono in
maggioranza da tempo. Da Mario Staderini a Riccardo Magi, attuale
segretario dei Radicali italiani (cosa diversa dal partito), sono i
vincitori. Marco Cappato è candidato sindaco a Milano, contro il parere
della Bernardini. E Magi è capo di una lista radicale d’appoggio a
Giachetti, a Roma. Eppure, senza simboli, senza sede e senza soldi,
rischia di mancare l’agibilità politica. Due giorni dopo la
presentazione di Cappato a Milano, un comunicato firmato da Bernardini,
Turco, ma anche Marco Beltrandi, Sergio D’Elia e Elisabetta Zamparutti,
dichiarò «incomprensibile» la sua candidatura. Del resto la Bernardini è
chiara: «Siamo divisi, abbiamo idee diverse. A Roma voterò Giachetti.
Magi? Forse non lo voto». Risponde Magi: «Non capisco cosa ci
rimproverino, mi sembra tutto molto pretestuoso. E poi non c’è nessuna
frattura generazionale: la Bonino è con noi, ma anche Cicciomessere e
Spadaccia. Mi piacerebbe che ci potessimo chiarire in una sede
istituzionale, è arrivato il momento di fare il congresso del Partito
radicale. Quanto alle urne di Roma, faccio solo presente che Pannella
fece la scelta opposta a quella della Bernardini: all’epoca votò me e
non Ignazio Marino».