La Stampa 21.5.2016
La marcia per i nuovi diritti è inarrestabile
di Marcello Sorgi
Da
commenti e analisi dedicate alla morte di Marco Pannella è venuta una
domanda, legata, seppure non esclusivamente, all’emozione sollevata
dalla sua scomparsa. E cioè: ci sarà ancora un futuro, e quale, per i
diritti civili in Italia, adesso che il paladino di quei diritti se n’è
andato?
Senza girarci attorno, la risposta non può che essere sì.
Intanto perché in quel campo, va riconosciuto, una parte del lavoro è
stato fatto. L’Italia non è più, com’era ancora all’alba degli Anni
Settanta, un Paese arretrato, uno degli ultimi che continuava a imporre
per legge il dogma del matrimonio indissolubile. Per merito di Pannella e
dei radicali - ma anche dei laici, dei socialisti e perfino dei
comunisti, che abbandonarono la loro iniziale e irrazionale resistenza, e
a discapito dei democristiani che si opposero, dapprima con decisione e
via via sempre meno -, il divorzio è legale da quarantasei anni, e
l’aborto da trentotto.
I due referendum promossi per cancellarli
nel 1974 e nel 1981 si conclusero con il 59 e il 68 per cento dei voti
in difesa di quei diritti (compresi moltissimi cattolici che si
espressero in dissenso dalle indicazioni della Chiesa e della Dc). E da
due settimane, anche stavolta, in ritardo sul resto d’Europa e del
mondo, il Parlamento ha approvato la legge sulle unioni civili, che
assegna per la prima volta anche agli omosessuali conviventi diritti
uguali a quelli delle altre coppie di fatto e assimilabili ai coniugi
uniti in matrimonio. Ciò è avvenuto per merito (o responsabilità,
secondo i punti di vista) di Matteo Renzi, presidente del Consiglio
appartenente a una generazione di giovani scout che d’estate, quando
partecipavano alle Giornate della Gioventù, la sera, dopo aver cantato
in coro con Wojtyla, si coricavano all’aperto e facevano l’amore nei
sacchi a pelo, confidando nella benevolenza del Papa.
E tuttavia,
dal testo varato alla fine della tormentata, ma niente affatto
superflua, discussione parlamentare, sono state stralciate, com’è noto,
le adozioni dei figli dei partners. Si riprenderà a discuterne, forse
non si farà in tempo a inserirle in un’altra legge in questa
legislatura, ma è inutile nascondersi che prima delle Camere
arriveranno, anzi sono già arrivate, le sentenze che hanno riconosciuto
il diritto ad essere genitori per uomini e donne gay uniti stabilmente, e
in grado, secondo i giudici, di dare amore sincero e buona educazione
ai loro figli. Per un numero limitato di casi di questo genere di
adozioni già approvate, ci sono decine, forse centinaia, di bambini in
attesa dei loro diritti di figli: anche questo è bene saperlo.
La
legalizzazione dell’uso di droghe leggere, formalmente per uso medico,
appare e scompare dai calendari delle commissioni parlamentari; il
testamento biologico e l’eutanasia si affacciano all’inizio di ogni
legislatura e poi immancabilmente si perdono per strada. Ma questo non
vuol dire che il cammino dei diritti si sia fermato o sia condannato a
fermarsi, perché la velocità del cambiamento della società civile ė tale
che anche i politici più ciechi non possono non vederlo. Non si tratta,
in altre parole, dei casi di Piergiorgio Welby ed Eluana Englaro,
protagonisti delle battaglie più recenti dell’ultimo Pannella per dare
ai familiari di malati senza speranza il diritto di por fine alle loro
sofferenze. In molti ospedali italiani, anche questo si sa, si cerca di
supplire alla mancanza di norme in questo settore adoperando
pietosamente, ai limiti della legge, le risorse più avanzate della
scienza medica. Ed è la generosità, alle volte sorprendente, di parenti
di moribondi, a incoraggiare il salvataggio di altre vite, grazie agli
espianti e ai trapianti di organi.
Le carceri, non a caso motivo
di un’altra predicazione laica e degli azzardati digiuni di Pannella,
sono ancora il luogo di indicibili barbarie, che la civiltà giuridica
non dovrebbe consentire, in quella che si vanta di essere la patria del
diritto. Ma almeno, grazie all’impegno di due ministri come Paola
Severino e Andrea Orlando, si ė riusciti a limitare il problema del
sovraffollamento delle celle, avendo il coraggio di trovare forme
alternative alla carcerazione e ponendo limiti alla condizione
miserabile e disumana di moltissimi detenuti. Molto resta da fare,
infine, in materia di cittadinanza, e tutto o quasi sul terreno irto di
ostacoli dell’immigrazione extracomunitaria, gravata da insorgenti
egoismi europei e uso esasperato di convenienze elettorali interne.
Anche in questo campo gli italiani sono migliori, oggi, di quel che
sembra l’Italia. La marcia verso il riconoscimento dei nuovi diritti è
per questo inarrestabile. Resta solo da capire perché la politica
seguiti ad essere più lenta della società che dovrebbe rappresentare.
Era
così quaranta e più anni fa, quando il solitario Pannella si alzò a
contestare il predominio consociativo di Dc e Pci: per salvare il patto
sotterraneo con cui dal governo e dall’opposizione, ma in realtà in
piena collaborazione, controllavano il Parlamento, i due grandi partiti
di massa avevano messo da parte la questione dei diritti, destinata a
dividerli. E avrebbero preferito continuare a ignorarla. Ma ora che la
Dc non c’è più e i post-comunisti sono ridotti a minoranza del partito
del premier, adesso che Papa Francesco («Chi sono io per giudicare i
gay?») lascia ai vescovi il compito di protestare, giusto un atto
dovuto, contro le unioni civili, ma poi consente la comunione per i
divorziati e apre alle donne diacono, che ragione c’è di continuare a
frenare l’evoluzione della società italiana, divenuta moderna malgrado
tutto? Tra Prima e Seconda Repubblica, è duro ammetterlo, non c’è stato
alcun passo avanti. Anzi s’è aggravato il meccanismo sterile delle
interdizioni reciproche. Nella Terza, che dovrebbe uscire dal referendum
di ottobre, chissà come andrà. La vigilia è lunga, il pessimismo
dell’intelligenza sovrasta l’ottimismo della volontà. Seminare trappole
per avversari mai considerati degni di diventare interlocutori, non
sforzandosi di far altro, rischia di rendere la politica e i politici
italiani sempre più lontani dalle attese dei cittadini. E purtroppo, non
solo in materia di diritti.