sabato 21 maggio 2016

Corriere 21.5.16
Viaggio dentro CasaPound
di Goffredo Buccini

I ragazzi del passato che non passa ammoniscono (amabilmente) il cronista fin sul monumentale scalone di simboli pieno: «Non fare antropologia». È una parola... Dalla scelta cromatica del vessillo (campo rosso, cerchio bianco e logo nero) che fa tanto kommandantur penzolando sul triste rettilineo di via Napoleone III, alle gallerie di foto d’epoca (volontarie del Ventennio in piazza Venezia, marcia del 28 ottobre che «non si fermerà», futurismi marinettiani assortiti); dai poster su Ciavardini e la strage di Bologna sino ai materassi da campo Hobbit sparsi all’ultimo piano per i «camerati di fuori Roma» attesi al corteo: tutto, nel mondo parallelo di CasaPound, due passi dalla stazione Termini e forse vari passi oltre l’impolverata legge Scelba, tutto, invita all’abuso antropologico e allo stereotipo.
Tutto, tranne il realismo.
Perché i fascisti del Terzo millennio, suscitati vent’anni fa dal mangiafuoco nero Gianluca Iannone attorno al pub Cutty Sark, si sono mossi velocemente: e forse non è inutile capire in quale direzione. Oggi potrebbero sfilare a migliaia da piazza Vittorio, cuore multietnico di Roma, assieme ai parigini (tre anni fa in questa data si suicidò Dominique Venner, ex Oas, Nouvelle Droite ) e in simultanea con i fascisti di Madrid, Atene e Budapest: il rischio d’un sabato anni Settanta, con la contromanifestazione dei collettivi antagonisti a due passi, è concreto («ma noi manterremo la calma, il nostro corteo è autorizzato»). E già l’idea che giovani nati tra l’ultimo scorcio del Novecento e il primo del Duemila possano darsele di santa ragione brandendo bandiere nere o rosse la dice lunga sul fallimento della pedagogia politica degli ultimi decenni.
Ma ridurre i fascisti di CasaPound alla perturbante istantanea d’una piazza a braccia distese nel saluto romano è forse difficile, ormai: a Bolzano, sorpresa, hanno preso quasi il 7 per cento ed eletto 3 consiglieri comunali e 4 municipali. Declinazione italica della tragica propensione europea alla rinascita di muri contro crisi globali e migrazioni, hanno animato una dozzina d’occupazioni «non conformi» solo a Roma (la loro sede, occupata il 26 dicembre 2003, ospita ora una ventina di famiglie). Planano sulle contraddizioni delle periferie, «incappucciano» i parcometri di Torino, «bonificano» il parcheggio della stazione di Bolzano dagli spacciatori, irrompono nei mercatini dei rom applauditi dai residenti, fanno doposcuola agli studenti abruzzesi. Malmenano denunciando spesso di essere malmenati, via di mezzo tra muscolarismo squadrista e volontarismo Guardian Angels. Possono infiammare menti deboli (Gianluca Casseri, che nel 2011 ammazzò a Firenze due senegalesi e si uccise, bazzicava la sede pistoiese) ma molti ragazzini del loro Blocco Studentesco riempiono i vuoti d’anima con miti e valori presi a prestito ormai dai nonni più che dai padri. Dichiarano ottomila tesserati, 15 librerie, 20 pub, una tv web, un mensile, un trimestrale. E forse esagerano, ma il network ha cambiato anche l’approccio, fino a ieri improntato a un’occhiuta chiusura da centro sociale. Ora Mauro Antonini (candidato presidente del IV municipio a Roma) accoglie sorridendo taccuini e telecamere.
Il primo candidato sindaco di CasaPound, Simone Di Stefano (nativo di Garbatella, aprì la porta della locale sezione missina a una quindicenne Giorgia Meloni), cita la Costituzione a ogni piè sospinto. Smessi bomber e anfibi, gira per studi tv in completo blu e cravatta; azzarda l’ossimoro di un fascismo democratico, sfodera la Carta (nata dalla resistenza antifascista) in chiave sociale: «Anticostituzionale è chi chiude qui la fabbrica e la apre in Cambogia per produrre calzini pagando gli schiavi un euro al giorno, non noi»). Chiama il Duce «Sua Eccellenza» ma con una venatura di ironia (forse). Fatto il colpo a Bolzano e archiviata malamente l’alleanza con Salvini («non ha il coraggio di rompere col carrozzone del centrodestra»), gli allievi di Iannone puntano a Torino, Latina e soprattutto Roma: «Ci aspettiamo un risultato eclatante», dice Di Stefano. Qualche vocina azzarda il 3 per cento, forse il 5, sogni fascistissimi. Obiettivo realistico è piazzare almeno un consigliere comunale, puntando a eleggere, quando sarà, addirittura un deputato. La ricetta è di presa facile: mutuo sociale, soldi prima agli italiani, banche allo Stato, tiè. Al di là dell’antropologia, resta la storia, l’orrore. Di Stefano è preparato: «Il fascismo ha responsabilità verso gli ebrei, nessuno può negare l’Olocausto». Poi però rispolvera il comodo spartiacque delle leggi razziali e dell’alleanza con Hitler: fascismo buono prima, malato dopo. Ma è la vulgata di un Paese privo di valori condivisi e memoria. Come in fondo questa nuova parata di fantasmi con le facce e i cuori da balilla è forse — anche — frutto di segregazione. Che tenere in un angolo buio l’Italia degli sconfitti fosse stata una cattiva idea lo pensava, ormai tanti anni fa, Luciano Lama.