Corriere 20.5.16
Marco Bellocchio «Diede scandalo per l’alleanza con Berlusconi»
di Alessandro Trocino
ROMA
«In Italia comandano i morti». Chissà se la battuta del «Regista di
matrimoni» diventerà realtà per Marco Pannella. Perché in vita, i
riconoscimenti sono stati scarsi. Tra i non moltissimi che lo hanno
sempre appoggiato, candidandosi anche un paio di volte sotto le insegne
della Rosa nel Pugno e della Lista Bonino-Pannella, c’è il regista di
quel film, Marco Bellocchio. Che, dopo «Fai bei sogni» (in questi giorni
a Cannes), sta scrivendo un film su Tommaso Buscetta.
Bellocchio, chi è stato Pannella?
«Un
grand’uomo. Per me è stato un padre della patria. Una figura
gigantesca, non solo della politica. Un italiano straordinario, una
figura rarissima».
Anche molto criticata.
«La sua forza è
stata anche il coraggio con il quale è passato sopra alle critiche.
Ricordo le sue battaglie per la laicità, la sua non violenza».
Negli ultimi anni, certi successi degli inizi, dal divorzio all’aborto, non si sono ripetuti.
«Lui
era un isolato, che è riuscito a trascinare l’Italia in vittorie
straordinarie. Negli ultimi tempi faticava a trovare posto in una
società effimera, basata sui sondaggi. Altri radicalismi hanno
sostituito Pannella e il suo partito, un modo di vivere la politica più
fuggevole e superficiale. Era diventato più difficile per alcuni
comprendere la sua intelligenza e la sua coerenza».
Gli fu rimproverata a sinistra, come incoerenza, l’alleanza con Berlusconi.
«Per
alcuni allearsi con Berlusconi è stato un sacrilegio, uno scandalo. Per
me no. Posso avere dissentito da lui, ma ogni politico fa le sue scelte
per perseguire i suoi fini. Anche allearsi con il diavolo, come era
considerato allora Berlusconi. La politica è anche questo, ma lui non si
è mai sporcato le mani. I suoi fini non sono mai stati quelli di
occupare poltrone o il potere per il potere, né i soldi. In questo era
assolutamente disinteressato. E l’alleanza con Berlusconi, in forma
leggera poi, non intacca la sua integrità di grande cittadino italiano».
C’è chi lo voleva senatore a vita, chi ministro, chi invece presidente della Repubblica.
«Lui
se n’è sempre fregato. Cercava consenso per portare avanti le sue
battaglie. Era troppo scomodo per fare il ministro. La Bonino, altro
grande personaggio, è più discreta, delicata, diplomatica. Lui no. Ma
poi son sciocchezze: quanti ministri son passati nella storia e sono
dimenticati?».
Quando l’ha conosciuto?
«Durante il processo
Braibanti, che era accusato per plagio, reato che non esiste più. Mi
ricordo il suo coraggio nel difenderlo».
Lei è stato candidato un paio di volte con i radicali.
«Sì,
candidature di testimonianza. Ma ho fatto poco, non voglio intestarmi
nulla e non ero un suo grande amico. Lo ammiravo: resta unico, un
esempio per tutti».