Corriere 19.6.16
La sinistra francese è in un vicolo cieco
di Massimo Nava
Nel
maggio di trentacinque anni fa, François Mitterrand portava a una
storica vittoria la sinistra unita. Il suo fortunato slogan, la «forza
tranquilla» aveva convinto i francesi che fosse possibile l’alternativa
al gaullismo e alla destra, in un Paese tradizionalmente conservatore ed
elitario.
Di quella svolta epocale e di un modello di alleanza e
prospettiva politica, resta, oltre alla memoria, uno scenario di
macerie, fatto di sconfitte elettorali in serie, frammentazione in
correnti e rivalità, ininfluenza culturale, marginalità nella società
francese. È stato calcolato che il partito socialista ha oggi meno della
metà degli iscritti del partito repubblicano (gli ex gollisti di
Sarkozy e Juppé) e meno iscritti delle società di appassionati di bridge
e ping pong.
Il quinquennato di François Hollande, che qualche
esegeta ha paragonato - per astuzia e disinvoltura - proprio a
Mitterrand, si sta risolvendo in una disfatta, senza riuscire a condurre
in porto nessuna delle riforme annunciate, di cui peraltro la Francia
avrebbe disperatamente bisogno per raddrizzare i conti pubblici e
riprendere a crescere.
Eletto «per difetto», ossia per opposizione
a Sarkozy più che per adesione convinta degli elettori, Hollande ha
bruciato giorno dopo giorno il consenso e oggi si ritrova al minimo
storico per un presidente, con soltanto il 16 per cento di opinioni
favorevoli. Uno «score» che sarebbe più basso se i francesi non ne
avessero apprezzato la presenza sulla scena internazionale e le misure
d’emergenza per la lotta al terrorismo.
Il destino di Hollande si
sposa a quello della sinistra e del partito socialista in particolare.
La rottura con i verdi e con il partito comunista si è consumata da
tempo. Più recentemente, si è registrata la presa di distanze da parte
di Emmanuel Macron, il ministro dell’economia, che ha di fatto sbattuto
la porta per fondare un proprio movimento d’ispirazione riformista e che
coltiva ambizioni da premier, magari in coppia con il più accreditato
pretendente all’Eliseo, Alain Juppé. Negli ultimi giorni infine, una
parte consistente del partito socialista ha deciso di non votare la
legge di riforma del mercato del lavoro, versione emendata del nostro
Jobs act, giungendo a promuovere una mozione di censura contro il
«proprio» governo.
Lo scontro sulla legge è tracimato
dall’Assemblea alla piazza, con manifestazioni e scioperi, soprattutto
del pubblico impiego, che rinnovano lo psicodramma francese del Paese
irriformabile e del potere di blocco di sindacati minoritari e categorie
superprotette. Di questo scontro, cercano di approfittare le componenti
più radicali o tradizionali, da Arnaud Montebourg a Martine Aubry, con
il risultato di rendere ancora più problematica la rotta del presidente.
La crisi del partito socialista risente delle difficoltà di tutte le
sinistre di governo, ma in Francia sembra finita nel vicolo cieco per il
continuo rinvio dell’aggiornamento programmatico e ideologico già
compiuto dai maggiori partiti socialdemocratici europei.
Gli
studenti protestano, i sindacati paralizzano, ma la protesta è sterile e
ha solo l’effetto di peggiorare l’immagine del governo e esasperare gli
animi di una Francia che assiste impotente al continuo ripetersi di un
film già visto. Un modello sociale e statuale non più compatibile con le
risorse disponibili ha creato masse di emarginati e di scontenti, di
giovani precari e di assistiti, mentre la ristretta area dei garantiti
(soprattutto nel settore pubblico) fa resistenza ai tentativi tardivi di
riforme e un numero crescente di giovani diplomati e laureati decide di
emigrare.
Logica vorrebbe che della crisi della sinistra
approfitti la destra. Nella realtà francese, le cose sono più
complicate, non solo perché la destra è a sua volta divisa da feroci
rivalità. La crisi della «gauche» comporta soprattutto lo spostamento
del suo elettorato operaio e popolare verso l’astensionismo e verso il
Front National di Marine Le Pen, oggi saldamente il primo partito del
Paese. La crescita del Front condiziona il quadro politico in vista
delle presidenziali ed è la più pesante minaccia in un’Europa già
sconvolta da spinte centrifughe e movimenti populisti e xenofobi.