Corriere 17.5.16
Il metrò di Roma (dai costi record) che rischia di non finire mai
Il metrò più costoso al mondo bloccato da scavi, cause e 45 varianti
La linea C iniziata nel 2006 rischia di non finire mai: spese aumentate del 23%, lavori già indietro di un anno
di Sergio Rizzo
La
grande caserma per i legionari di Roma, a pochi passi da quella che è
oggi Porta Metronia, scoperta durante gli scavi per la stazione della
linea C della metropolitana. Un ritrovamento sensazionale. Le camerate e
le stanze degli ufficiali: alcune affrescate, altre con preziosi
pavimenti di mosaico. Sepolto per quasi 18 secoli, ci è voluta la metro C
per farlo venire alla luce. Le sue dimensioni sono così imponenti da
chiedersi: com’è stato possibile che nessuno se ne sia accorto prima,
quando hanno fatto i carotaggi?
C’ era una caserma. Una grande
caserma per i legionari di Roma, a pochi passi da quella che è oggi
Porta Metronia. L’hanno scoperta durante gli scavi per la stazione della
linea C della metropolitana. Un ritrovamento sensazionale. Che però, da
un altro punto di vista, è solo l’ultimo guaio per quella che si sta
profilando come l’opera pubblica più costosa del dopoguerra. Ci sono le
camerate e le stanze degli ufficiali: alcune affrescate, altre con i
pavimenti di mosaico. Era stata costruita quando a Roma regnava
l’imperatore Adriano, ma un secolo più tardi l’avevano abbattuta,
rasandola fino a un metro e mezzo da terra e poi interrandola, perché
nel frattempo avevano tirato su le mura aureliane e quel quartiere
militare era rimasto fuori dalla cinta. Sepolto per quasi 18 secoli, ci è
voluta la Metro C per farlo venire alla luce. Ma le sue dimensioni sono
così imponenti da chiedersi: com’è stato possibile che nessuno se ne
sia accorto prima, quando hanno fatto i carotaggi? Perché i carotaggi,
ovvero i saggi in profondità per appurare se nello strato archeologico
ci sono dei resti, sono sicuramente stati fatti, vero? Domanda
inevitabile, se si considera che il castro imperiale dell’Amba Aradam,
com’è stato battezzato, occupa una superficie pari a metà di quella
della stazione che dev’essere realizzata lì sopra. Sfortuna, dicono a
mezza bocca in cantiere. Avranno bucato dove non c’era niente, chissà.
Appunto. Non può non tornare alla mente quella relazione dell’Autorità
anticorruzione, dove il presidente Raffaele Cantone sostiene che la
superficialità con cui sarebbero state condotte le indagini preliminari
avrebbe «determinato una notevole aleatorietà delle soluzioni
progettuali da adottare nella fase di esecuzione e, ad appalto già in
corso di esecuzione, rilevanti modifiche rispetto alle previsioni
contrattuali, in particolare l’effetto della nuova tipologia esecutiva
delle stazioni».
Ed è qui, con ogni probabilità, il cuore del
problema. C’entrano l’accuratezza delle indagini e la qualità dei
progetti: lo dice l’Anac. Difficile spiegare solo con la sfortuna le 45
(quarantacinque) varianti in corso d’opera, con un costo lievitato da 3
miliardi e 47 milioni dell’aggiudicazione a 3 miliardi 739 milioni: 692
milioni di differenza, più 22,7 per cento, per un’opera iniziata dieci
anni fa e che non è neppure a metà. Mentre i costi continuano a salire
inesorabilmente e i tempi, altrettanto inesorabilmente, ad allungarsi.
C’è un documento di qualche giorno fa nel quale è descritto uno stato di
cose che dovrebbe preoccupare assai chiunque si dovesse sedere fra un
mesetto sulla poltrona di sindaco della capitale. È la relazione del
collegio sindacale di Roma Metropolitane, la società del Campidoglio che
gestisce l’appalto della Metro C con 180 persone. Lì dentro si racconta
che sei mesi fa il general contractor Metro C, di cui fanno parte
Astaldi, Vianini del gruppo Caltagirone, il consorzio Cooperative
costruzioni e l’Ansaldo Finmeccanica ha fatto causa alla stessa Roma
metropolitane chiedendo altri 348 milioni. Il bello è che 71 milioni la
società comunale avrebbe già dovuto pagarli da tempo, e per altri 152
aveva riconosciuto di doverli pagare. Per non parlare di un paio di
«atti aggiuntivi» a causa dei quali Metro C avanza la pretesa di una
ventina di milioni. Non bastasse, lo stesso documento informa che i
lavori alla stazione San Giovanni sono stati interrotti il 21 ottobre
2015: «sospensione», c’è scritto, «che ancora oggi impedisce
l’avanzamento delle opere». Ragion per cui, continuano i revisori, «i
lavori della tratta dalla stazione San Giovanni fino al Colosseo
registrano, al 31 ottobre 2015, un ritardo di 316 giorni rispetto al
termine di fine lavori stabilito al 22 settembre 2020 con ingentissime
riserve già iscritte da Metro C». Il risultato? L’area archeologica fra
le più importanti del pianeta, parliamo di quella intorno al Colosseo, è
destinata a restare un cantiere con monumenti quali la basilica di
Massenzio avvolti dai ponteggi almeno fino al 2022: quando il mandato
del prossimo sindaco sarà già finito da un pezzo. Per la maggior gioia
dei milioni di turisti che nei prossimi sei anni arriveranno a Roma.
E
la colpa non è certo di quel clamoroso ritrovamento archeologico, che
forse poteva (e doveva) essere previsto. Quella scoperta, anzi, potrebbe
paradossalmente contribuire a dare una scossa a una vicenda dai
contorni comunque inaccettabili per qualunque opera pubblica: a maggior
ragione se c’è in ballo, come di sicuro in questo caso, una figuraccia
planetaria. La metropolitana più cara del mondo sta naufragando in un
delirio di varianti, arbitrati, riserve e contenziosi. Di tutti contro
tutti. Roma metropolitane fa causa al proprio azionista, il Comune di
Roma, a colpi di decreti ingiuntivi, rivendicando 45 milioni. Il
consorzio Metro C porta invece in tribunale Roma Metropolitane,
chiedendone quasi 350. E anche all’interno stesso di Roma Metropolitane
volano gli stracci: con il presidente Omodeo Salè che denuncia per
diffamazione il collegio sindacale e il collegio sindacale che a sua
volta denuncia il presidente alla Corte dei conti per danno erariale.
Senza dire di alcuni strascichi maleodoranti, puntualmente citati nella
relazione dei sindaci che contestano nuovamente, ad esempio,
l’affidamento diretto a Metro C dei lavori per la pedonalizzazione dei
Fori imperiali, inizialmente previsti in 2,2 milioni e poi
ridimensionati a 700 mila euro. Ce ne sarebbe abbastanza per mandare
tutti a casa, chiudere la partita e ricominciare daccapo. Ma ci vorrebbe
la bacchetta magica solo per uscire dal groviglio delle carte bollate.
Come sa bene il ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio, che ha
messo l’ex assessore ai Trasporti della Regione Campania Ennio Cascetta
al posto di responsabile della struttura di missione per le grandi opere
un tempo guidata da Ercole Incalza. E sta facendo sentire sempre di più
il proprio peso sul dossier. Tanto che non ci sarebbe da meravigliarsi
se la regia si trasferisse dal Campidoglio al ministero. Anzi, dopo
quello che si è visto finora dovremmo forse augurarcelo. Peggio di così,
certo non potrebbe andare.