lunedì 16 maggio 2016

Corriere 16.5.16
Eric Kandel
Il tempo ritrovato
«La mia vienna felice, tra arte e medicina e con la memoria mi rifaccio sui nazisti»
di Roberta Scorranese

A Bologna il Festival della Scienza Medica. Apre il Nobel Eric Kandel, neuropsichiatra costretto a lasciare l’Austria a 10 anni. Non ha perdonato, ma ha sconfitto il passato ricostruendo l’età dell’oro, dove la cultura nasceva dalla tolleranza

Eric R. Kandel (1929) insegna alla Columbia University di New York e dirige il Center for Neurobiology and Behavior presso la stessa Università. Svolge attività di ricerca presso l’Howard Hughes Medical Institute. Nel 2000 è stato insignito del premio Nobel per la Medicina grazie alle sue ricerche sui meccanismi biochimici che portano alla formazione della memoria nelle cellule nervose

Il libro. L’età dell’inconscio (pagine 622, €33), da cui Kandel prende spunto per il suo intervento a Bologna, è stato tradotto in Italia da Gianbruno Guerrerio per Raffaello Cortina, 2012

Aveva solo dieci anni Eric Kandel quando, nel 1939, fu costretto a fuggire da Vienna, insieme alle sue radici ebraiche, a un senso di colpa oscuro e a due genitori di origini ucraine che poi, a Brooklyn, apriranno un modesto negozio di vestiti.
E fu proprio quella fuga dalle persecuzioni del Terzo Reich che lo aiuterà a scrivere il suo libro più importante: Eric voleva dimenticare, ma dalla memoria non si fugge e così, poco alla volta, cominciò a combattere i ricordi studiandoli. Assediandoli con ricerche sempre più raffinate sulle origini cellulari del ricordo, sezionandoli con il doppio bisturi della medicina e della psichiatria. Finché, nel Duemila, il professor Eric Kandel, sposato con la sociologa Denise Bystryn (esule francese che lasciò l’Europa dopo la fine dell’occupazione nazista della Francia), neuroscienziato alla Columbia University, ricevette il premio Nobel proprio per i suoi studi sulla memoria.
Poco dopo, Kandel (che apre il Festival della Scienza Medica di Bologna, giovedì) comincerà quel viaggio che ricondusse Proust a Combray e Freud nei territori inesplorati del suo inconscio: tornerà a Vienna, in una straordinaria rielaborazione della memoria culminata in The Age of Insight , volume tradotto in L’età dell’inconscio per Raffaello Cortina nel 2012. È il Tempo Ritrovato della Recherche proustiana, la ricostruzione del passato non come lo ricordiamo ma come lo percepiamo . È la Vienna a cavallo tra Otto e Novecento, irripetibile osmosi di scienza e arte, medicina e scrittura, poesia e psicanalisi. «Ma soprattutto — dice Kandel al Corriere — una città tollerante, che accolse migliaia di ebrei. E lo sa da dove nacquero la Secessione o la psicanalisi? Anche da questo scambio ininterrotto di saperi, tradizioni, scoperte. Dalle non-barriere, che portavano ogni giorno, nei salotti culturali, fianco a fianco, medici come l’anatomopatologo boemo Karl von Rokitansky e artisti come Oskar Kokoschka».
Kokoschka, il pittore dell’interiorità. Il suo scavo psicologico nacque dalla frequentazione della medicina?
«Più precisamente dal bisturi di Rokitansky, che fu uno dei primi a lavorare sul moderno concetto di autopsia. Kokoschka stendeva strati leggerissimi di pittura per poi abbondare in altre parti. Cercava la verità oltre la superficie, la psiche del soggetto e incitava i modelli a muoversi durante l’esecuzione, a fare come se l’artista non ci fosse. Come lo psicanalista quando lascia distendere il paziente per annullare la propria presenza».
Un altro grande esponente della Scuola di medicina di Vienna fu il ceco Josef Skoda.
«Che studiò i suoni cardiaci per la prima volta. Tutto incitava ad andare oltre l’esteriore e di questo si discuteva liberamente nei salotti come quello di Berta Szeps, moglie dell’anatomista Emil Zuckerkandl. Di qui nacque la poetica di Klimt, che nel Ritratto di Adele Bloch-Bauer rompe lo schema classico della pittura bidimensionale su schema a tre dimensioni e fa il viaggio inverso: dal mondo esterno tridimensionale al sé interno multidimensionale e alla mente inconscia. Ornando il resto dei dipinti con l’oro, con quei fregi che cercavano una nuova golden age. E innestando anche minuscole raffigurazioni di elementi biologici, come gli embrioni dipinti in Danae ».
Arte ma anche letteratura. Quanto deve Schnitzler a quella stagione così ricca?
«Tutto! Pensiamo alle sue donne libere, anche sessualmente: questo atteggiamento veniva dallo spirito liberale di quella città e dalle tendenze progressiste della facoltà di scienze dell’università. Inoltre Schnitzler, allievo di Rokitansky a Medicina, incentrò le sue opere letterarie sui processi inconsci: basti pensare alla novella Doppio Sogno . Esattamente come, in architettura, Otto Wagner, Joseph Maria Olbrich e Adolf Loos eliminarono l’esteriorità pomposa degli edifici pubblici sulla Ringstrasse e idearono uno stile limpido, funzionale, rivolto alle reali necessità di chi vive una città. Cosa, questa, che aprì la strada al Bauhaus».
Uno «scavo» anche sociale, nei bisogni delle persone.
«Esattamente. Per esempio, le Wiener Werkstätte, gli istituti di arte e design diretti da Hoffmann e Moser, resero più bella la vita quotidiana con disegni di mobili e altri oggetti. Era una Vienna accogliente, e se penso che oggi l’Europa centrale alza i muri contro i profughi, be’, lasciamo stare».
Professore, lei ha dedicato una vita allo studio della memoria. Questo le ha insegnato a perdonare?
«No. Ma si può imparare a riscrivere il passato. A beneficio di chi verrà dopo di noi».