mercoledì 11 maggio 2016

Corriere 11.5.16
Shakespeare
Rapsodia della Tempesta perfetta
l nuovo libro di Nadia Fusini, Vivere nella Tempesta (Einaudi)
di Emanuele Trevi

È giusto che il nuovo libro di Nadia Fusini, Vivere nella tempesta (Einaudi), si presenti così, senza un sottotitolo che segnali ai lettori che non si tratta di un romanzo o di un’altra opera di invenzione. Perché è vero, l’argomento del libro della Fusini è senza dubbio una tempesta particolare, cioè La tempesta di Shakespeare, allestita a Whitehall la notte di Ognissanti del 1611, con grande dispendio di macchinari e artifici, come si addiceva al festeggiamento delle prossime nozze di Elisabetta, figlia di Giacomo I d’Inghilterra, e l’Elettore del Palatinato. Ma basterà leggerne qualche pagina per rendersi conto che questo non è un saggio critico — e non certo per difetto di conoscenze o deliberato dilettantismo. Quali che siano i suoi metodi e le sue intenzioni e il carattere di chi lo scrive, infatti, un saggio critico possiede sempre una posta in gioco ben precisa. È un atto di interpretazione, e tale rimane anche nel caso in cui la conclusione del ragionamento è che c’è ben poco o nulla da interpretare.
In quest’arte difficile e oggi molto screditata, Nadia Fusini ha raggiunto fin da giovane risultati tanto eccelsi che non credo che Vivere nella tempesta rappresenti una rinuncia definitiva. Semmai, è un esperimento del quale, se di saggio critico non si può parlare, è difficile trovare una definizione attendibile. Si può dire che all’interpretazione, che ambisce di catturare l’opera nella rete dei suoi argomenti, si sostituisce un movimento simmetrico e contrario. A forza di leggere e rileggere come un breviario l’ultimo dramma di Shakespeare, è Nadia Fusini che è finita nella rete. La tempesta è più forte di lei, e ha finito per dare una forma alla sua mente a ogni rilettura, proprio come il mare con le sue onde e le sue risacche modella un ciottolo o un fondo di bottiglia. Non potrebbe essere diversamente, visto che Nadia Fusini, fra le migliaia di libri che ha letto, solo alla Tempesta attribuisce il valore di un’immagine totale della vita. La ascolta come chi accostando l’orecchio all’apertura di una conchiglia percepisce lì dentro qualcosa che sembra proprio il rumore del mare, mentre è solo quello del nostro corpo. Ma è un errore dalle conseguenze preziose, questo, dal punto di vista della Fusini. Che sembra suggerirci, in ogni riga del suo libro, che l’autocoscienza è impossibile, e per vedere qualcosa di noi abbiamo bisogno dello specchio dell’arte proprio come per ascoltare il rumore della nostra circolazione sanguigna abbiamo bisogno di accostare l’orecchio a una conchiglia.
Come si sarà capito, il libro acquista fin dall’inizio un andamento rapsodico, digressivo, spiraliforme. Prima di puntare il dito mormorando la solita accusa di narcisismo, si leggano uno dopo l’altro i corti capitoli di Vivere nella tempesta e si ammetta onestamente che si sono imparate un sacco di cose emozionanti e sorprendenti, anche con questo metodo non molto ortodosso. Perché il punto non è mai il narcisismo e nessun’altra qualità o malattia dell’anima, l’unico vero punto è la capacità di produrre un movimento reale della coscienza, quale che sia il mezzo impiegato. Alla fine non si potrà che convenire con Nadia Fusini quando scrive che «ciò che conta della cosa non è ciò che è, ma ciò che della cosa trasportiamo con noi e ricreiamo». Questa è la magia, la magia che Prospero scatena nell’ultimo dramma di Shakespeare e che noi stessi pratichiamo nelle nostre vite, quando siamo capaci di «portare con noi l’anima della cosa e lasciarne indietro il corpo». E visto che non si possono vivere le vite degli altri, che ognuno si cerchi la propria Tempesta .
L’appuntamento Vivere nella tempesta di Nadia Fusini ( Einaudi, pp. 206, e 18,50) sarà presentato al Salone del Libro di Torino domenica 15 maggio (ore 16.30, Sala Rossa). Con l’autrice interverranno Anna Bonaiuto e Nicoletta Braschi