Corriere 10.5.16
Negli ospedali di Atene che sono rimasti senza bisturi
di Federico Fubini
Atene.
La dichiarazione sul carbone e l’acciaio. I popoli da riconciliare.
Un’unione sempre più stretta. Panagiotis Papanikolaou ieri non ha
trovato cinque minuti per riflettere che altrove il 9 maggio significa
tutto questo. Per lui l’Europa equivale a liste d’attesa di quaranta
giorni per operare di tumore cerebrale e un ascensore in cui i piani
sono stati marcati a pennarello blu per risparmiare pochi euro. Si sale
così per arrivare al suo decrepito, minuscolo ufficio di neurochirurgo. È
nell’ospedale nazionale di Nicea, a occidente della capitale di un club
di Paesi che ha realizzato uno degli esperimenti più visionari della
storia: l’Unione europea.
Vista da qui, suona come un’utopia
distante. Sessantasei anni fa esatti il ministro degli esteri francese
Robert Schuman gettava il seme della comunità che avrebbe portato a
generazioni di pace, crescita e frontiere aperte. Oggi nel suo piccolo
ufficio, il dottor Papanikolaou pensa all’Europa e si lascia sfuggire i
segni di un esaurimento nervoso. Cerca di guardare i suoi ospiti ma
tiene gli occhi fissi sul pavimento; credendo di parlare, urla. A lui la
parola «Bruxelles» fa pensare ai cantieri stradali del suo quartiere di
Atene, Pateli, e l’idea lo manda in bestia. «Spendiamo decine di
milioni dei fondi europei per ricostruire i marciapiedi a prezzi
criminali – dice – ma non abbiamo soldi per tenere aperti i letti di
terapia intensiva».
All’ospedale di Nicea al Pireo, come in tutta
la Grecia, la contabilità è controversa quanto tragica. Per tenere
aperti i quindici letti di terapia intensiva di questo ospedale
servirebbero almeno venti infermieri e dieci medici, ma oggi l’ospedale
ne ha rispettivamente dieci e tre. Da anni non è più stato sostituito il
personale andato in pensione e questa è solo una parte di una
catastrofe più vasta: preferendo salvare altre clientele, i vari governi
di Atene hanno tagliato il bilancio del ministero della Salute ben
oltre gli obiettivi già durissimi indicati dai governi creditori a
Bruxelles. Durante una caduta dell’economia del 29,6% dal 2008, la spesa
sanitaria per abitante è crollata il doppio.
A Nicea, questo
significa qualcosa di preciso: i letti in terapia intensiva sono rimasti
solo undici e si spiegano così alcune delle esperienze recenti del
dottor Papanikolaou. Una malata di tumore al cervello ha dovuto
aspettare tre mesi per curarsi. Un paziente già operato con successo
resta ricoverato da due mesi perché ha preso a sanguinare dal cervello,
dopo aver contratto in terapia intensiva un raro batterio: lo
trasmettono le infermiere, a quanto pare, troppo poche e dunque
costrette a curare e toccare più ricoverati in ogni turno. Da anni
lavorano sette giorni la settimana. Servirebbe un paramedico per ogni
postazione, in Grecia oggi ce ne sono uno ogni tre e resta chiuso oltre
un quarto dei letti disponibili in terapia intensiva.
Una carenza
di queste dimensioni sta sicuramente costando vite umane. Il 4 febbraio
scorso una donna di 55 anni è morta d’influenza nell’ospedale Sotiria
(«Salvezza») aspettando invano un letto: quel giorno la lista d’attesa
per la terapia intensiva ad Atene era di 75 persone. L’associazione dei
medici di Atene sostiene – su basi imprecisate - che riaprire duecento
letti chiusi salverebbe duemila vite l’anno e la procura proprio ieri ha
annunciato «inchiesta di massima urgenza» dal sapore e clamore
decisamente italiani.
Non che le radici del problema siano un
mistero: per riaprire duecento letti in terapia intensiva in Grecia lo
Stato deve assumere cento medici e quattrocento paramedici, al costo di
quindici milioni l’anno. Non può. I creditori, i governi europei guidati
dalla Germania e il Fondo monetario internazionale, non autorizzano il
governo greco ad assumere un solo statale: temono il ritorno del
clientelismo, oltre a quello della spesa.
Proprio ieri a Bruxelles
gli europei hanno preso atto che il governo di Alexis Tsipras imporrà,
su loro richiesta, nuovi tagli e un altro aumento delle tasse. Sulla
scala dell’Italia, equivarrebbe a un pacchetto di sacrifici da 48
miliardi di euro. La sola differenza è che l’economia ellenica è già
crollata di quasi un terzo rispetto in otto anni, nel frattempo ha
ridotto il deficit pubblico dell’11% del Pil e – secondo il sito PubMed –
è salita al primo posto in Europa per frequenza delle infezioni in
terapia intensiva.
Papanikolaou, il neurochirurgo, sa già che le
misure porteranno nuove tasse per lui, dopo un taglio di oltre metà
dello stipendio dal 2011. Da domani opererà il cervello per meno di
duemila euro al mese, mentre la migrazione dei nuovi laureati verso la
Germania e la Gran Bretagna non potrà che accelerare: già oggi
l’ospedale di Nicea fatica a trovare praticanti da formare, perché tutti
si precipitano all’estero. «Abbiamo perso una generazione di medici»,
dice Papanikolaou.
In una lettera ai governi europei, la
direttrice dell’Fmi Christine Lagarde ha definito tutto questo
insensato. Gli obiettivi di bilancio imposti alla Grecia, un attivo del
3,5% del Pil sul futuro prevedibile, secondo lei non hanno più senso:
«Più di quanto economicamente e socialmente sostenibile», ha scritto
Lagarde. «Controproducente». Il governo di Atene finge di adeguarsi
tagliando e tassando là dove è meno difficile, non dove servirebbe. Ma
Wolfgang Schäuble, il ministro delle Finanze tedesco all’origine di
queste richieste, non deflette: il suo partito conservatore a Berlino
non intende scoprire il fianco destro all’ascesa dei nazionalisti di
Alternative für Deutschland. Così, sessantasei anni dopo la
dichiarazione di Schuman, le scelte vitali di una nazione vengono
determinate dall’agenda di partito di un altro governo in Europa e non
da un minimo di logica o di umanità. Il bilancio della Grecia al 2018
prevede già nuovi tagli sui farmaci.
In ufficio a Nicea,
Papanikolaou continua a guardare per terra. I suoi strumenti di
microchirurgia sono obsoleti, le macchine mobili dei raggi X bloccate.
Come fate? Il dottore alza gli occhi e si capisce che il vecchio bisturi
vorrebbe finirlo sull’ospite.
(Ha collaborato Nikolas Leontopoulos)