Corriere 10.5.16
Cosa sognano gli italiani
Partecipare ai
propri funerali e ridere di chi segue la bara o il cinema che cambia
prezzo ai biglietti per gli operai: l’ateneo di Bologna ha raccolto 40
anni di racconti onirici
di Elena Tebano
La fine
dei sogni è il bip di un cicalino. Con quello e una richiesta, «Dimmi
cosa ti passava per la mente prima che ti chiamassi», notte dopo notte
dal 1967 al 2007 i ricercatori del Laboratorio di psicofisiologia del
sonno e del sogno dell’Università di Bologna hanno svegliato i loro
volontari. Il risultato è un «archivio dei sogni» che conserva i frutti
delle loro menti al cospetto di se stesse, svincolate dalla tirannia
della realtà. Oltre 800 i racconti dei sognatori raccolti: in attesa che
questo inverno riapra il laboratorio, chiuso da quasi un decennio per
lavori di ristrutturazione ritardati da burocrazia e ristrettezze
finanziarie, il Corriere della Sera ha potuto gettarvi uno sguardo.
C’è
il militante comunista che, nell’anno della morte di Enrico Berlinguer,
il 1984, dopo essergli andato a rendere l’ultimo omaggio in piazza San
Giovanni a Roma, sogna di partecipare al proprio funerale. «Vedevo cosa
succedeva, ero presente, ma gli altri non mi vedevano, e ridevo, ridevo
sempre» riferisce l’anonimo volontario agli studiosi dell’Università di
Bologna. E descrive il suo stupore di fronte al compagno di partito con
cui è «in disaccordo», ma che nel sogno pronuncia parole in suo onore:
«Io mi metto a ridere e penso, “no, ma come, non mi ascoltava mai”».
C’è
l’appassionato di cinema che si ritrova di fronte al Perla, sala
parrocchiale bolognese, e guarda una fila di cartelloni: «Ognuno aveva
le sue tariffe, e se qualcuno non aveva i soldi per pagare c’era scritto
che poteva fare qualche lavoretto per il gestore» e i prezzi d’ingresso
«non erano divisi per posto, ma per condizione sociale: operaio Lire
tot., impiegato Lire tot.». Ai ricercatori questo sognatore senza nome
ha lasciato anche l’eco di un’emozione: «Il senso di contentezza perché
c’era la possibilità per tutti di vedere il film».
Nel 2000, in un
mondo del tutto cambiato, uno studente ventenne si vede invece come il
protagonista di una saga fantasy: con un amico a caccia «su una landa
desolata», a cavallo e dotati di «armi magiche»: «Si trattava di una
faretra con delle frecce, la magia consisteva in una specie di bagliore
alla punte delle frecce che le contraddistingueva, a volte era blu a
volte era rosso, a volte esplodevano all’impatto. Lo scopo era trovare
una strada per andare non so dove, questi animali intralciavano il
cammino». C’è infine, il sogno nel sogno, «una presa in giro nei vostri
confronti» sintetizza nella trascrizione della registrazione il
volontario: «Ho sognato che ero già stato svegliato mentre stavo
sognando e mi è stato chiesto di raccontare il sogno». Sono numerosi i
sogni dell’archivi0 che fanno riferimento agli esperimenti. A volte
colorati con i pregiudizi di Bologna la Rossa: una ragazza sogna che i
ricercatori le scoprono delle «conformazioni del cervello talmente
piccole che erano da persona... aveva detto esattamente “non vorrei
offenderti, ma sono come quelle di un democristiano” poi mi aveva detto
“io ti consiglio l’uso di una biblioteca”» riferisce da sveglia.
«I
nostri in effetti sono sogni da laboratorio — spiega con un sorriso la
professoressa Miranda Occhionero, responsabile della struttura —.
Infatti non ce ne è mai stato raccontato uno erotico, a riprova che
quella che Freud chiamava “censura onirica” esiste». I volontari,
«scelti tra i buoni dormitori e i buoni sognatori», venivano collegati
alle macchine che ne monitoravano l’attività della corteccia cerebrale, i
movimenti oculari e il tono muscolare. Poi venivano svegliati in varie
fasi del sonno: il racconto dei sogni non serviva ad analizzarne il
significato, ma a verificare le memorie «usate» nei sogni. «Tra le
scoperte più importanti che abbiamo fatto c’è che si sogna sempre, non
solo nel sonno Rem in cui la mente è più “vigile”, come si pensava un
tempo. C’è un’attività mentale anche nel sonno profondo. E la qualità
dei sogni non è così diversa: varia solo la quantità delle memorie. I
sogni Rem vengono ricordati di più, quelli non Rem meno».
Spesso
sono frammenti di scene o situazioni che rielaborano ricordi della vita
normale: la maggior parte dei sogni dell’archivio non hanno niente del
carattere immaginifico e portentoso che di solito associamo al termine.
Vista da fuori, «la via regia che porta all’inconscio», come Sigmund
Freud la definì, è quasi sempre di una noia mortale. «Non c’è da
sorprendersi però — spiega Giuseppe Civitarese, psicologo, autore di «Il
sogno necessario. Nuove teorie e tecniche dell’interpretazione in
psicoanalisi» (Franco Angeli) —. Quando Freud per primo ha portato
l’analisi contenutistica dei sogni in un ambito scientifico ha anche
reso il sognatore l’unico interprete autorizzato del proprio sogno. Con
poche eccezioni, se viene a mancare il contesto interpretativo i sogni
diventano necessariamente noiosi, un affastellarsi di immagini senza
capo né coda, perché sono una produzione molto privata». Senza i
sognatori, i sogni sono vuoti.