Sabato 30 Aprile, 2016
Il padre
«Voglio tutta la verità e una giustizia implacabile come l’ho vissuta io»
intervista di Marco Demarco
Il padre, condannato a 10 anni: non ho potuto difenderla
«Implacabile.
Si dice così? Con me lo Stato non ha voluto sentire ragioni, mai. E mi
ha fatto scontare fino all’ultimo giorno di pena. Sono stato a
Poggioreale, Isernia, Roma, e anche a Lanciano e Fossombrone. Mi sono
girato tutte le carceri d’Italia. E non vi racconto. Ora però sono io a
chiedere ai magistrati e a tutti quelli che contano di essere ugualmente
implacabili nei confronti di chi ha commesso un delitto mille volte più
grave del mio».
Pietro Loffredo, 40 anni, di cui dieci passati
dentro per contrabbando di sigarette e vendita di cd scaricati
abusivamente da Internet, è il padre di Fortuna, la bambina di Caivano,
paese già tristemente noto per essere nel cuore della Terra dei Fuochi e
ora condannato a essere ricordato anche come quello degli orchi. La sua
è una storia nella storia, che aggiunge vuoti esistenziali e macchie di
marginalità sociale a un quadro già devastato. La giovinezza con otto
fratelli, tra i vicoli bui del centro storico di Napoli; poi la
prigione, la tragedia familiare, la separazione dalla prima compagna;
infine i sensi di colpa, che lui non chiama così, ma che tali sono:
quella di Pietro Loffredo non è stata una vita facile.
A
ripercorrerla con lui, nonostante il particolare postmoderno dei cd
taroccati, sembra quasi di ripiombare nella Napoli povera e in bianco e
nero di Anna Maria Ortese o di Mimì Rea. Eppure, quando Pietro parla
dell’uomo accusato di aver violentato e ucciso sua figlia non urla, non
impreca. Piuttosto, pretende. Cosa? «La verità. Nel senso — spiega — che
io non voglio il nome di un colpevole tanto per chiudere il caso e far
lavorare voi giornalisti. Io voglio sapere tutto ciò che c’è ancora da
sapere». Si spieghi. «Voglio che i giudici accertino se l’assassino ha
fatto da solo, e io non credo affatto che sia così; se c’è stato chi
l’ha aiutato o chi lo ha coperto. E perché ha ucciso Fortuna». E
cos’altro? «Lo sapevamo tutti che in quel palazzo c’era l’inferno. Lì
era già morto misteriosamente un altro bambino. Perché c’è voluto tanto
tempo per venire a capo di qualcosa?». E poi? «Perché accanirsi contro
la mia bambina? Continuo a chiedermi se non sia stata uccisa perché
Fortuna ha magari minacciato di raccontare a suo padre tutto quello che
aveva subito. E se questo non abbia spinto l’assassino a peccare in quel
modo. Ma io cosa potevo fare, dal carcere? La cosa più assurda è che, a
quel tempo, quando mia figlia è volata giù dall’ottavo piano di quel
palazzo, io in carcere non dovevo esserci». In che senso? «Avevo diritto
a sconti di pena che o non sono stati calcolati, o sono stati
considerati in ritardo. Non ci posso pensare. Ho fatto il servizio
militare, avrebbero dovuto scalarmi dalla pena undici mesi, ma nel mio
caso non è successo. Se fossi uscito undici mesi prima avrei potuto
stare vicino a mia figlia, parlarle, e forse tante altre cose non
sarebbero successe. Io Fortuna ho continuato a vederla ogni tanto anche
dopo la separazione. Mi abbracciava forte. Forse voleva dirmi
qualcosa...».
Possibile perdere così undici mesi di vita? Ed è
possibile stare dieci anni in carcere per aver venduto cd scaricati da
Internet? «Sì», risponde Angelo Pisani, l’unico avvocato che Pietro
Loffredo abbia conosciuto, quando però c’era ormai ben poco da fare.
«Pietro — spiega Pisani — non racconta balle. Le cose stanno come dice.
Il problema, però, è che per ottenere quegli undici mesi in meno avrebbe
dovuto presentare un’istanza al giudice di sorveglianza. E invece lui
era all’oscuro di tutto. È rimasto in carcere per ignoranza, come tanti.
Del resto ormai in carcere ci restano solo gli immigrati e gli
ignoranti». Ma non è tutto. «Se si fosse difeso in tempo, se non avesse
inanellato sette condanne senza mai occuparsi delle sue vicende
giudiziarie, Pietro sarebbe rimasto in carcere non più di tre anni»,
aggiunge Pisani. E ora non è forse un caso che Pietro aspetti un aiuto
proprio dal suo avvocato, che tra l’altro è anche presidente della
circoscrizione di Scampia. «So che fa il sindaco, forse può aiutarmi a
trovare un lavoro», si confida con chi l’intervista. Pisani: «Magari
potessi. Ma a Napoli non c’è un euro per l’assistenza sociale. E non
solo per Pietro o per Mimma, la madre di Fortuna. Per nessuno».