Repubblica 9.4.16
Katainen: “L’Italia ha già molta flessibilità non crescerà spendendo di più”
intervista di Ferdinando Giugliano
CERNOBBIO.
Dopo un inizio di 2016 turbolento, che ha costretto il governo italiano
a ridurre drasticamente le sue stime di crescita per quest’anno, è
tornata sul tavolo l’idea di un piano coordinato di investimenti
pubblici per rilanciare l’economia globale. Ma per Jyrki Katainen,
vicepresidente della Commissione Europea e ospite del Forum Ambrosetti a
Cernobbio, gli investimenti nell’eurozona dovranno venire
principalmente dal privato, anche grazie al cosiddetto “piano Juncker”
di cui è responsabile. In un’intervista a Repubblica,
Katainen
parla anche della necessità di nuove regole per frenare la crescita del
debito pubblico, attraverso un meccanismo di ristrutturazione e limiti
agli acquisti dei titoli di Stato da parte delle banche.
Nei
giorni scorsi è stato annunciato che il piano Juncker ha mobilizzato 76
miliardi di euro per finanziare investimenti. Soldi veri o solo
annunciati?
«C’è stata in passato una percezione sbagliata fra
alcuni politici, che pensavano che il piano Juncker avrebbe previsto una
grande quantità di soldi pubblici. Ma quella è una strategia che non
abbiamo voluto seguire per non far salire i debiti pubblici. L’80% di
questi 76 miliardi verranno dal settore privato. Sono soldi che
riposavano serenamente nei conti correnti delle aziende e che ora invece
saranno utilizzati per finanziare investimenti».
Le nuove regole
della Commissione Ue prevedono che si possa chiedere flessibilità per
gli investimenti pubblici. E’ possibile chiederla per più anni di fila?
«Non
c’è una regola chiara in proposito, ma la flessibilità non va intesa
come un modo per aggirare la necessità di mantenere le finanze pubbliche
in ordine. Se si usa la flessibilità e la situazione economica non
migliora, allora è chiaro che il problema è altrove. L’Italia è il Paese
che ha più beneficiato in Europa della flessibilità, senza però
migliorare la sua economia: deve contare su un altro modo per crescere».
Crede che i governi europei abbiano capito lo spirito di queste nuove norme?
«Molti
Paesi lo hanno capito e sanno quanto sia importante mantenere le
finanze pubbliche in ordine. Se c’è una mancanza di competitività, è
quello il problema da risolvere. Alcuni Stati membri invece cercano
sempre di prendersi un po’ di spazio, ma l’aiuto temporaneo non può
essere un modo di agire permanente» ».
Cosa pensa della proposta
del governo italiano sull’integrazione economica europea, con il
meccanismo comune di sussidi di disoccupazione?
«Dobbiamo avere
un’eurozona più integrata e può darsi che dobbiamo anche aumentare la
condivisione degli oneri che i Paesi si trovano ad affrontare insieme
alla convergenza fra le economie. Sono aperto a proposte diverse, ma
dobbiamo evitare che si creino maggiori squilibri economici. Se vogliamo
degli stabilizzatori automatici a livello europeo, dobbiamo anche
rendere più difficile per gli Stati indebitarsi».
A cosa pensa?
«Per
esempio, un argomento cruciale è limitare la quota di obbligazioni
sovrane che le banche hanno sui propri bilanci. Per rompere il legame
fra rischio sovrano e rischio bancario ci vorrà tempo, ma è importante
farlo anche perché obbligherebbe gli Stati a vendere più debito sui
mercati internazionali, rafforzando la disciplina da parte degli
investitori».
Cosa pensa dell’idea di un meccanismo che
ristrutturi automaticamente il debito pubblico di un Paese quando supera
una certa soglia?
«E’ un argomento interessante. Dovremmo avere
un meccanismo ordinato che ci dica in anticipo cosa fare se ci sono
questo tipo di problemi».
L’eurozona ha ancora una disoccupazione
molto elevata. Non sarebbe meglio escludere dal computo del deficit gli
investimenti pubblici in infrastrutture?
«Capisco le ragioni di
regole come queste, ma sono contrario. Quest’idea vorrebbe dire
escludere grosse porzioni di spesa pubblica dal computo del deficit:
l’istruzione, la ricerca, magari anche la sanità. Piuttosto, bisogna
fare in modo che la spesa pubblica vada in maniera prioritaria a questo
tipo di investimenti».