Repubblica 9.4.16
Lo scandalo
Parla la sorella di Angelo, un paziente dell’ospedale di Salerno. I pm: le liste d’attesa saltate in cambio di mazzette
“Il medico mi disse: mi dia 2mila euro e suo fratello sarà operato subito”
intervista di Dario Del Porto
«È chiaro che se uno riceve soldi in contanti senza rilasciare neppure una ricevuta qualcosa non torna.
Quando hai accanto una persona cara che sta male non pensi ad altro. Avrei dato anche di più. Poi ho capito»
SALERNO.
«Il dottore ci chiamò in disparte. Disse che mio fratello doveva essere
operato d’urgenza. Spiegò che le liste d’attesa erano lunghe, che era
in procinto di partire per gli Stati Uniti e avrebbe potuto operarlo
solo al rientro. Non fece alcuna pressione, non rivolse alcuna minaccia.
Aggiunse solo che con duemila euro lo avrebbe operato subito». La foto
di Angelo Di Giacomo è proprio all’ingresso di casa. Un bell’uomo che ha
lottato come un leone, per due volte, contro il cancro ed è morto il 2
dicembre del 2015 a 49 anni. La sorella Teresa, dipendente dei servizi
sociali del Comune, è uno dei testimoni dell’inchiesta dei carabinieri
che ha portato agli arresti domiciliari per concussione il primario di
Neurochirurgia dell’ospedale San Giovanni Di Dio e Ruggi d’Aragona di
Salerno Luciano Brigante.
Accanto a Teresa, nell’appartamento del
rione Pastena, c’è la figlia Agata Ruotolo, che aggiunge: «Ho seguito
personalmente il calvario di mio zio. Non è morto per l’operazione al
cervello ma perché, in precedenza, aveva subito un trapianto di fegato.
Il dottor Brigante si è comportato con grande umanità. Lo ha operato due
o tre volte, io stessa gli ho telefonato in centinaia di occasioni ed è
stato sempre disponibile. Ecco, se potessi, vorrei chiedergli perché ha
fatto questo. Che cosa lo ha spinto. Da una persona come lui non me lo
sarei mai aspettato ».
Nella stessa indagine, ma in filoni diversi
da quello in cui sono vittime i familiari di Di Giacomo, è ai
domiciliari anche il docente universitario di Pisa Gaetano Liberti che
ieri, alla presenza dell’avvocato Giulia Padovani, ha respinto tutte le
accuse davanti al gip, mentre è indagato a piede libero il luminare
giapponese Takanori Fukushima, lo stesso del presunto consulto per il
Papa poi smentito dalla Santa Sede. Lunedì Brigante potrà replicare alle
accuse nell’interrogatorio di garanzia. Nelle parole della sorella e
della nipote di Di Giacomo, non c’è acrimonia ma solo amarezza.
Signora Teresa, quando vi siete rivolti al dottor Brigante?
«
Mio fratello si è sentito male il 16 aprile 2015. È arrivato in
ospedale con l’ambulanza. Pensavamo fosse una crisi di rigetto legata al
trapianto, invece dagli esami è emersa una massa al cervello. Il dottor
Brigante era il primario, aveva già avuto in cura un a nostra
conoscente».
Anche in quella occasione vi aveva chiesto di pagare per l’intervento?
«No.
E quando si è trattato di Angelo non ci ha mai detto che lo avrebbe
operato solo se avessimo pagato. Ha spiegato che i soldi non sarebbero
andati solo a lui ma a chi lo avrebbe affiancato in sala operatoria.
Pensavamo fosse un normale intervento in intramoenia, anche perché il
pagamento è avvenuto dopo l’intervento ».
Non le è venuto il dubbio che quel denaro non gli spettasse?
«Sinceramente
no. Ho pensato solo ed esclusivamente ad Angelo. Anche perché durante
questo calvario che ha riguardato anche un altro dei miei fratelli,
abbiamo visto, purtroppo, tanti medici davvero cinici e venali. E non è
il caso del dottor Brigante».
Avevate quei duemila euro?
«Siamo una famiglia numerosa, composta da tredici fratelli. Ci siamo tassati tutti».
Il pagamento come è avvenuto?
«Dopo
le dimissioni di Angelo, in ospedale. Gli ho consegnato il denaro in
una busta. Non li ha neppure contati. A quel punto ho cominciato a
capire che qualcosa non quadrava».
Perché?
«È chiaro che se
un medico riceve soldi in contanti, chiusi in una busta bianca, senza
rilasciare neppure una ricevuta, qualcosa non torna».
Tocca ai
giudici, adesso, valutare la veridicità del suo racconto e quello degli
altri testimoni e decidere sulla condotta contestata agli indagati. Ma
lei, signora Teresa, rifarebbe tutto?
«Con il senno del poi è
tutto più semplice. Ma quando hai accanto una persona cara che sta male,
non pensi ad altro. Se mi avessero chiesto di più, avrei pagato di più.
Volevo solo che mio fratello smettesse di soffrire».