Repubblica 9.4.16
Ma sulla famiglia la Chiesa è ferma
di Chiara Saraceno
NEL
LINGUAGGIO amorevole e compassionevole cui ci ha ormai abituati,
sollecitando anche qualche ingenua aspettativa, il pontefice ha ribadito
la immodificabilità delle posizioni della chiesa cattolica in merito
alla famiglia. L’amore e il sesso sono dimensioni positive dell’agire
umano, purché avvengano entro il matrimonio tra un uomo e una donna.
Bisogna evitare di mettere al mondo figli cui non si è in grado di
provvedere, ma gli unici strumenti contracettivi legittimi sono quelli
naturali, ovvero l’astensione dai rapporti sessuali nei periodi in cui
la donna è fertile. Le persone omosessuali vanno accolte e non
discriminate, ma i loro rapporti di amore e la loro sessualità non ha
nulla a che fare con il «disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia».
Il che è perfettamente accettabile per chi crede esista un tale disegno.
Non
si capisce però perché, in nome di questo, la chiesa e lo stesso
pontefice ostacolino e condannino chi vuole inserire queste coppie in
una configurazione della famiglia che non trovi il proprio fondamento
nel disegno di Dio, ma nella legislazione civile e nel principio di
uguaglianza e non discriminazione, che include anche il diritto a farsi
una famiglia. Non manca, nel documento papale, neppure un accenno di
condanna alla fantomatica teoria del genere, da cui dovrebbero essere
protetti i bambini, ribadendo la più o meno intenzionale incomprensione
degli obiettivi cui mira una educazione critica sul genere.
L’unica
parziale apertura riguarda i divorziati risposati e la possibilità che
possano essi accedere ai sacramenti. Facendo propria e persino andando
oltre la posizione espressa dalla maggioranza dei padri sinodali, il
pontefice sostiene che non tutti i casi sono uguali, che la condizione
di peccato non è necessariamente per sempre, ma va valutata caso per
caso. È ciò che avviene già di fatto in molte parrocchie, ma
l’affermazione del papa può essere letta come una vera e propria
modifica dottrinale, nella misura in cui toglie il divorzio e i
divorziati dalla condizione di essere una categoria omogenea, e
irreversibile, di peccato e peccatori, per tornare ad essere singoli,
con le loro specifiche ragioni e circostanze, che possono o meno essere
perdonate e superate. Non è un passaggio di poco conto. Così come non lo
è l’autocritica per le durezze che la chiesa ha manifestato in passato.
Ma, pur senza sottovalutare l’attenzione per le difficoltà che
incontrano molte famiglie in condizioni di disagio, la persistente
discriminazione nei confronti delle donne e il richiamo all’importanza
di politiche sociali adeguate, sono gli unici due passaggi che
presentano qualche apertura, su cui può continuare a lavorare l’opera di
riflessione collettiva messa in moto dai due sinodi.