mercoledì 6 aprile 2016

Repubblica 6.4.16
La predicazione universale di Gesù
risponde Corrado Augias

DOTTOR AUGIAS, viene da chiedersi se i cristiani abbiano letto quei passi evangelici in cui Gesù dichiara esplicitamente che la sua promessa di salvezza è rivolta solo agli ebrei. Dice, infatti, agli apostoli: «Non andate tra i pagani e non entrate nelle città dei samaritani: rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute d’Israele». Come pure «non rivolge neppure una parola» ad una donna non ebrea, di Canaan, che gettatasi ai suoi piedi, lo implora di guarire la sua figlioletta. Devono intervenire gli apostoli, commossi dalla sua disperazione: «Esaudiscila, vedi come ci grida dietro!». Gesù conferma, invece, ancora una volta, che la sua missione è altra: «Sono stato inviato alle pecore perdute della casa di Israele», « Non è bene sottrarre il pane ai propri figli per darlo ai cagnolini». A Cafarnao, dichiara che è stato mandato per annunciare «il regno di Dio anche alle altre città». Ma sono solo e sempre città d’Israele. Il testo, infatti, precisa: «E andava predicando nelle sinagoghe della Giudea». Gesù non uscì mai dalla sua patria e gli apostoli, imitandolo, si limitarono a far proselitismo in Palestina. Noi occidentali siamo cristiani perché, non Gesù, ma il cittadino romano Paolo diffuse il messaggio evangelico fuori della Palestina, nell’impero di Roma.
Ezio Pelino — pelinoezio@gmail.com
UNA dichiarazione importante uscita dal Concilio Vaticano II afferma testualmente: «Gesù è ebreo e lo è per sempre»; sottoscrizione del cardinale Willebrands presidente, monsignor Duprey vicepresidente, monsignor Mettia segretario. Dopo di allora (parliamo del 1965) gli studi sull’ebraicità di Gesù hanno avuto larga accettazione negli ambienti cattolici anche se resta nei fedeli una certa diffidenza nei confronti di un argomento che molti evidentemente affrontano con disagio. Il grande critico e storico Harold Bloom nel saggio “Gesù e Yahvè” (Rizzoli, 2006) scrive: «I giudei hanno un rapporto difficile con Cristo, ma ciò non vuol dire che lo abbiano necessariamente anche con Gesù, che ha ben poca responsabilità di quanto il cosiddetto cristianesimo ha compiuto in suo nome». I testi evangelici, letti con attenzione e senza preconcetti, dimostrano quanto profondamente Gesù sentisse la propria ebraicità. La sua osservanza della Legge era così profonda e partecipe da fare della sua pietà religiosa una condizione necessaria per cercare di capire chi Egli sia stato veramente. Molte sue idee e parole, molte sue azioni, si comprendono solo se le si vede come manifestazioni di un ebreo in una provincia, la Giudea, occupata militarmente. A partire dalla seconda metà del II secolo, i suoi seguaci, nella stragrande maggioranza, non furono più gli ebrei e il suo messaggio, cominciò ad essere interpretato alla luce di una nuova teologia. L’apostolo Paolo è tra i protagonisti di questo rivolgimento con le sue incessanti missioni tra i Gentili e l’idea che la Fede nel Signore Gesù valesse più dell’osservanza della Legge ebraica — Torah. Considerazioni che tuttavia non esauriscono l’argomento poiché Gesù, ebreo che sia stato, ha espresso un messaggio di tale portata (basta pensare al sublime Discorso delle Beatitudini) da dare valore universale alla sua predicazione.