La Stampa 6.4.16
Nazi-fascisti, l’orrore nella Rete
Si
presenta oggi a Roma l’Atlante delle stragi in Italia nel ’43-45.
Consultabile online, documenta una realtà finora sconosciuta nelle sue
effettive dimensioni
di Mirella Serri
Donne e
ragazzini arrivavano trascinando borse e carretti, con le scarpe
sfondate e i vestiti a brandelli. Nella mattinata dell’11 settembre 1943
si era sparsa la voce che i reparti militari di stanza a Torino
nell’Opificio di corso Belgio, angolo corso Regina Margherita, si erano
dati alla fuga. La gente accorreva al deposito per impadronirsi di
calzature, coperte, stoffe: beni assai rari e preziosi quando si è in
guerra. All’improvviso una pattuglia tedesca era sbucata sparando
all’impazzata e lanciando granate. I morti furono 17 e numerosi i feriti
che riportarono gravissime menomazioni. Nei primi giorni
dell’occupazione torinese, i nazisti non si erano risparmiati negli
eccidi, eliminando 49 persone a cui si aggiungevano circa 100 feriti:
non erano scontri tra militari, ma esecuzioni di inermi cittadini
avvenute a Porta Nuova, in via Nizza, corso Stupinigi.
Al Nord, ma anche al Sud
Dal
Nord al Sud, la distanza è breve se si parla di stragi dopo l’8
settembre: 14 carabinieri e un nutrito gruppo di impiegati, artigiani e
operai vengono deportati da Napoli a Teverola, in provincia di Caserta.
La colpa? Hanno tentato di difendere il palazzo dei telefoni. Prima di
essere uccisi sono costretti a scavarsi la fossa. E non basta. La sera
del 4 ottobre, ancora nei dintorni di Caserta, a San Clemente,
un’esplosione provoca il crollo di alcune case. Muoiono 25 persone, tra
cui 10 bambini. Le costruzioni ostacolano il transito delle truppe
tedesche e le mine vengono innescate e fatte brillare senza che siano
stati avvertiti gli abitanti.
Da Torino a Caserta i massacri
insanguinano la penisola occupata dall’esercito di Hitler: dati e
vicende fino a oggi completamente sconosciuti nelle loro dimensioni
adesso li potremo visionare online. È stato messo a punto da un folto
gruppo di studiosi l’Atlante delle stragi naziste e fasciste: l’impresa,
realizzata grazie a un finanziamento del governo tedesco e a cui hanno
dato tra l’altro il loro apporto l’Istituto per la storia del movimento
di liberazione (Insmli) e l’Associazione partigiani (Anpi), sarà
presentata domani a Roma al ministero degli Esteri.
«Questi numeri
non ce li aspettavamo e il quadro è veramente impressionante», avverte
Paolo Pezzino, responsabile del progetto. «Abbiamo censito 5.429 episodi
di violenza e 23.371 vittime. In un recente passato eravamo convinti
che il tetto massimo fosse di 15.000 decessi. Anche le categorie
classificate riservano elementi di novità: agli antifascisti, agli
sbandati, ai prigionieri di guerra e ai partigiani si sono aggiunti gli
ebrei, i religiosi, i renitenti alla leva passati per le armi». Sono
circa 4-500 - prosegue lo studioso - i reparti del Terzo Reich e della
Rsi responsabili di stragi, in particolare la 16ª divisione SS e la
Hermann Göring.
«Sono eccidi di massa compiuti spesso con un
obiettivo “pedagogico”, per disinnescare qualsiasi desiderio di
opposizione», commenta lo storico Bruno Maida. «Questa ricerca di
livello europeo ci permette di ricostruire dinamiche e ragioni di tanta
ferocia». L’Atlante porta nuove acquisizioni alla storia del conflitto
mondiale e ricompone l’inaspettato mosaico di una guerra nella guerra:
quella contro la gente comune. Fino a oggi si pensava che il Mezzogiorno
fosse stato esente dall’oltraggio nazista. Invece non fu risparmiato
dalla Wehrmacht: in Campania, per esempio, vi furono 430 episodi di
violenza e 1.585 vittime dal settembre al dicembre 1943. Il triste
primato degli omicidi in Italia se lo conquista la Toscana, con 4.465
vittime, seguita dall’Emilia con 4.313.
Cosa porta i nazisti a
impegnarsi in questi gesti di estrema crudeltà? «Tutto può nascere dal
caso: come reazione spropositata di fronte a banali forme di autodifesa,
quando sono in atto dei rastrellamenti», osserva la studiosa Isabella
Insolvibile. «Oppure, è un altro esempio, quando in campagna non si
capiscono gli ordini, oppure come dimostrazione di forza e di
superiorità».
Non solo tedeschi
Censire tutto questo vuol
dire raccontare forme e modalità inedite di uno scontro in cui tedeschi e
fascisti non fecero alcuna distinzione tra combattenti della Resistenza
e persone che non avevano imbracciato le armi. «Il 30 marzo 1944 i
partigiani uccidono un caporale tedesco, per cui vengono immediatamente
arrestati tutti i componenti del Comitato militare regionale piemontese.
Subito dopo, sempre a Torino, due gappisti, Giuseppe Bravin e Giovanni
Pesce, freddano Ather Capelli, condirettore della Gazzetta del Popolo»,
ricostruisce la storica Barbara Berruti. «Il 2 aprile per rappresaglia
saranno fatti fuori 32 uomini». Con questa azione, osserva la studiosa,
si verifica un’ulteriore escalation. L’esecuzione avviene senza arresto
né processo. I cadaveri verranno esposti in strada.
L’Atlante
smentisce infine una vulgata storica assai consolidata: che i nazisti
fossero gli unici attori sul palcoscenico di morte dell’Italia occupata.
I tedeschi compirono da soli il 61 per cento degli eccidi e gli adepti
di Mussolini fecero da supporto alle loro razzie (nel 14 per cento dei
casi). Ma questi ultimi compirono molte imprese in piena autonomia (nel
18 per cento delle stragi), contraddicendo il mito dei fascisti e dei
repubblichini trascinati nel fango e nell’ignominia dall’esercito del
Reich. Tanti tasselli del puzzle sono così rimessi a posto e tutto è
consultabile su www.straginazifasciste.it.