mercoledì 6 aprile 2016

Repubblica 6.4.16
Petrolio, nel mirino la legge di stabilità
Gli inquirenti indagano sulle relazioni tra l’emendamento su Tempa Rossa e il percorso della L’ipotesi dei pm: un comitato d’affari si è attivato per spingere la norma che favoriva gli uomini della Total
di Giuliano Foschini e Marco Mensurati

I magistrati descrivono un “comitato d’affari” intenzionato a mettere in atto altre operazioni Nel dicembre scorso un ritocco alla norma “salva Total” forse per evitare il quesito referendario

POTENZA.  L’emendamento Tempa Rossa sarebbe stato annullato, o comunque annacquato, qualche mese fa dal Governo. È questo il nuovo giallo dell’inchiesta di Potenza: gli investigatori hanno infatti acquisito all’indagine il comma 129 bis dell’ultima legge di Stabilità con il quale sembrerebbe che il governo, a dicembre del 2015, abbia fatto un passo indietro rispetto alla norma “salva Total” approvata un anno prima e oggetto dell’inchiesta. «Viene infatti eliminato il carattere strategico, di indifferibilità e di urgenza delle attività, riconoscendo alle stesse soltanto il carattere di pubblica utilità» si legge nella nuova formulazione della legge.
Il vecchio emendamento, presentato dal Governo in Legge di stabilità dopo che era stato bocciato nello Sblocca Italia, permetteva di realizzare l’oleodotto che avrebbe unito i pozzi della Basilicata con il porto di Taranto anche senza il via libera della regione Puglia. Per le opere strategiche, infatti, si diceva, le autorizzazioni passano in capo al Ministero. «È una buona notizia» diceva, non a caso, ai vertici della Total Gianluca Gemelli, fidanzato dell’allora ministro dello Sviluppo Economico Federica Guidi. L’operazione aveva però fatto infuriare associazioni ambientaliste e Regioni che non a caso avevano inserito quell’emendamento tra i requisiti referendari (il quarto) per chiederne l’abolizione. «La proposta – si leggeva nei documenti – mira unicamente ad abrogare la possibilità che si possa esercitare il potere sostitutivo ». Il governo, forse per evitare la questione referendaria, ha poi deciso di ritoccare a dicembre di quest’anno la norma. Un ritocco che – sospettano oggi gli investigatori – ha di fatto cancellato gli effetti della vecchia norma Tempa Rossa.
Se così fosse, non è chiaro perché il governo continui a difendere pubblicamente la scelta di quella decisione. «Perché – si domanda un investigatore – continuano a dire che rifarebbero un emendamento che poi invece hanno abrogato?». La domanda potrebbe sembrare non pertinente. Visto che la magistratura non vuole, entrare nelle questioni politiche che hanno spinto ad approvare una norma piuttosto che un’altra. Ma qui la questione non è politica: l’ipotesi è che attorno a quella decisione si sia mosso un “comitato d’affari” che aveva interessi affinché fosse approvato, visto che – secondo l’accusa – in cambio Gemelli avrebbe intascato circa due milioni e mezzo di lavori proprio dagli appaltatori di Total. E che la sua azienda sarebbe stata inserita nella lista “d’oro” delle società che lavoravano con la compagnia petrolifera.
La definizione che i magistrati usano di “comitato di affari” non è affatto casuale. Visto che a Gemelli, e ai suoi amici Valter Pastena e Nicola Colicchi, il primo potente burocrate di Stato al ministero della Difesa e poi consulente proprio al Mise; il secondo “facilitatore” storico dei palazzi romani, ex presidente della Compagnia delle opere con un elenco infinito di poltrone nei consigli di amministrazione, viene contestata l’associazione a delinquere. Gli viene detto, cioè, che avevano formato un gruppo «stabile nell’accordo», «con un vincolo associativo destinato a perdurare nel tempo anche dopo la commissione dei singoli reati specifico» e soprattutto con un «programma di delinquenza volto alla commissione di una pluralità indeterminata di delitti». Significa che l’operazione Total era soltanto una delle tante.
Un secondo filone riguarda, senza dubbio, la gestione dei pontili del porto di Augusta, faccenda che porta all’iscrizione nel registro degli indagati del Capo di stato maggiore della Marina, Giuseppe De Giorgi. Gemelli è interessato alla concessione di un pontile della Marina al porto di Augusta per fare attraccare le petroliere. In cambio concede le sue influenze, o millanta di farlo, per sbloccare la “legge navale” tanto cara a De Giorgi. Nel frattempo però il gruppo mette in atto anche i tentativi di salire sul carro di altri affari: da Finmeccanica a Fincantieri, la corsa ai posti di manager di Stato, ovunque provano a esercitare il loro “potere di influenza”.