Repubblica 4.4.16
La civiltà che rifiutava l’immortalità letteraria
di Matteo Nucci
Nel Fedro, Platone si affannò a spiegare il motivo per cui la scrittura debba essere condannata in favore dell’oralità.
Gli
scritti contengono parole immobili e sterili come pietre, perché non
sanno a chi si rivolgono e non sono capaci di rispondere. Le parole vive
invece possono offrire risposte e per questo penetrano l’anima di chi
ascolta e si rendono immortali. Anche Platone tuttavia sapeva bene che
la grande letteratura deve essere scritta perché possa seriamente
eternarsi.
Lo sapeva per sé, per quel che scriveva, e lo sapeva
perché i canti composti oralmente dagli aedi omerici, quei canti che
sarebbero diventati i più eterni fra i poemi epici dell’antichità,
vennero fermati dalla scrittura e permisero così ai due eroi
dell’Iliade, Ettore e Achille, di rimanere immortali, come essi stessi
avevano sognato andando incontro alla fine.
Fu dunque la battaglia
contro la morte attraverso la letteratura ciò che mancò agli Etruschi?
Difficile stabilirlo. Può darsi che le nuove acquisizioni chiariscano
qualcosa.
Per ora, di fronte all’immensa produzione letteraria di
Greci e Latini, è lecito supporre che gli Etruschi avessero messo da
parte quella speranza di immortalità letteraria e cercassero di
procurarsela solo attraverso il culto, la religione, la cura del morto e
tutto ciò che della loro civiltà ci resta con chiarezza. Ma può darsi
che ci sia anche altro. Può darsi che sospettassero già quella che è la
dannata disillusione raccontata dall’Odissea omerica attraverso le
parole di Achille, quando morto nell’Ade incontra Odisseo. Non importa
più al grande eroe quel che aveva sognato quando era in vita.
Non gli importa più che ci siano poeti che ne cantano la gloria.
Preferirebbe vivere la condizione peggiore, quella del servo, pur di vivere.
La letteratura dunque fallisce nel suo sogno di immortalità? Forse questo immaginavano gli Etruschi.
E
perciò scelsero di dedicarsi completamente a vivere questa vita e non
perder tempo negli inutili giochi della letteratura. Forse.
Un’unica
idea potrebbe confermare questa ipotesi che li rese così lontani dai
“vicini” Greci e Latini. Ossia la più sorprendente delle loro conquiste:
la condizione della donna. Aristotele dichiara con meraviglia che le
donne mangiavano assieme agli uomini e con essi dunque discutevano alla
pari. Teopompo ci racconta dello straordinario equilibrio che si
raggiunse in quella società così unica in cui la libertà sessuale e la
ricerca del piacere erano centro indiscusso. Forse gli Etruschi avevano
semplicemente capito come vivere bene questa vita. Ed eliminarono tutto
quello che non gli parve necessario, tra cui le più volatili illusioni
di immortalità, quelle della letteratura.
L’autore è uno
scrittore, grecista, studioso del pensiero antico. Ha pubblicato saggi
su Empedocle, Socrate e Platone. Il suo ultimo libro è Le lacrime degli
eroi ( Einaudi)