Repubblica 4.4.16
La morte di “Gato” Barbieri
Bertolucci: “Usai “tango” nel titolo del film in omaggio alla sua arte
“Lui e io lavorammo fianco a fianco con il montatore, il risultato fu di grande sensualità”
intervista di Arianna Finos
ROMA. «Ho pianto tanto. Sono commosso. Non era solo un grande collaboratore, Gato. La nostra è stata una lunga amicizia. Faceva parte di un mondo che sta andando giù, che se ne va con lui». Bernardo Bertolucci è provato, mentre nel suo appartamento di Trastevere guarda le immagini in tv dello scomparso Gato Barbieri. Il loro rapporto, iniziato oltre quarant’anni fa, ha regalato alla storia del cinema e della musica Ultimo tango a Parigi.
Ricorda il primo incontro?
«Come fosse oggi. Gato comparve sul set di Prima della rivoluzione, nel ‘64. Era il marito della segretaria di edizione del film, Michelle Barbieri. Lei era un po’ più grande, mezza italiana e mezza argentina. Era arrivata in Argentina da New York, aveva conosciuto questo giovane sassofonista. Gato sembrava un bambino, allora. Erano una coppia stupenda. Facemmo una jazz session a Parma, rimasi folgorato dal suo talento. Era già lì, vicino a John Coltrane. Mi viene in mente che quando morì Coltrane, nel ’67, facemmo una serata insieme a Roma in omaggio alla sua musica, eravamo tutti molto commossi e invasi. Poi Gato si trasferì a New York.
Lei lo richiamò a Parigi per “Ultimo tango”. Con il quale vinse un Grammy.
«Devo dirlo, quel titolo è un omaggio a lui, perché era argentino e perché volevo che facesse la musica del film. Cominciò a scrivere mentre a Parigi giravamo le ultime riprese. Mi ricordo che eravamo all’Hotel Lutetia e per la prima volta sentii i temi del film che sono diventati una parte del nostro passato di quegli anni».
Musica e immagini diedero vita a un’esplosione di sensualità.
«Gato vide il film già al primo montaggio. Lavorammo fianco a fianco con il montatore, Franco Arcalli, unendo musica e immagini con un risultato di grande potenza e sensualità. Ricordo che con Gato telefonammo a quel grandissimo musicista argentino che è Astor Piazzolla perché facesse l’arrangiamento. Piazzolla si arrabbiò molto e mi disse “io non sono un arrangiatore, sono un musicista, mi chiamo Astor Piazzolla, goodbye”. Prendemmo Oliver Nelson».
Si sarà pentito, Piazzolla.
«Tre anni dopo qui a Trastevere suona il citofono, una sera. Chiedo “chi è?”. “Sono Astor Piazzolla”. Lo feci entrare e lui mi disse: “Quel rigurgito di egoismo del momento è stato uno dei più grandi errori della mia vita. E anzi ho fatto un omaggio”. Mi consegnò un 45 giri inciso da lui che si chiamava El penultimo tango.
Era il suo modo ironico di dirmi che aveva sbagliato».
Cosa ha reso speciale Gato Barbieri?
«La capacità di unire il jazz con la sua musica popolare argentina. Quel suo essere un sassofonista tenore bianco capace di un suono assolutamente nero. Unico».