Repubblica 4.4.16
La sfida solitaria dello sceriffo
di Stefano Folli
ANCORA
una volta Renzi fa di se stesso lo scudo che deve proteggere insieme il
governo e una linea politica. Affermando «sono io che ho deciso tutto
(sulle ricerche petrolifere in Basilicata e sul famoso emendamento,
ndr)», il premier alza il livello dello scontro, difende i ministri e in
un certo senso sfida i magistrati che conducono l’inchiesta. È molto
più difficile colpire il presidente del Consiglio quando invece
l’indagine sta scavando nelle pieghe dei conflitti d’interessi, per loro
natura opachi e spesso inafferrabili.
Quella del premier è
ovviamente una risposta politica a un attacco che senza dubbio si è
rivelato il più pesante subito dal governo e da lui stesso nei due anni
di mandato. Sono io il solo responsabile, pigliatevela con me se avete
il coraggio: una frase di forte impatto mediatico, destinata a diventare
subito il titolo dei siti e dei giornali. Ed è una tattica a cui i
politici di temperamento ricorrono nei momenti di difficoltà. Quasi
sempre ha l’effetto di spegnere l’incendio; quando non ci riesce,
ovviamente non c’è più difesa di fronte alla voragine. Ne deriva che
Renzi ha fatto la mossa giusta, se il suo obiettivo era drammatizzare
per uscire dall’angolo. Ma non basta certo una singola uscita davanti
alle telecamere di In mezz’ora per considerare archiviato il caso.
Sul
piano immediato, non mancano i risultati. I magistrati di Potenza hanno
subito fatto sapere che non pensano di ascoltare la testimonianza del
premier: il che non significa che l’inchiesta sia depotenziata, ma vuol
dire che il suo profilo politico è molto più basso di quello che
vorrebbero i fautori della mozione di sfiducia. Secondo punto, la
minoranza interna ha garantito i suoi voti contro la mozione grillina.
Salvo colpi di scena poco plausibili, la manovra parlamentare non avrà
quindi successo. E se questo sarà l’esito, lo si deve anche alla
capacità del presidente del Consiglio di combattere a viso aperto e in
prima persona le sue battaglie. S’intende però che l’intera vicenda e
ieri le parole di Renzi - suscitano ulteriori dubbi e riserve. Sarebbe
il caso, in primo luogo, che il premier si presentasse in Parlamento, e
non solo in uno studio televisivo, a esprimere una tesi così impegnativa
circa la sua responsabilità personale.
In secondo luogo,
l’aspetto di sfida sottintesa alla procura sposta il confronto su un
terreno improprio e molto insidioso. L’Italia è rimasta ferma per anni,
assistendo al conflitto inesausto fra Berlusconi e la magistratura.
Nessuno ha voglia di ritrovarsi in una situazione analoga.
Terzo
punto, il più delicato. Assumere il ruolo di sceriffo solitario va bene
in casi eccezionali. Ma Renzi mostra la tendenza a entrare in questa
parte fin troppo spesso: che si tratti del referendum anti- trivelle o
di quello costituzionale; che si parli di voto amministrativo o di
scenari politici. Talvolta lo sceriffo solitario si palesa per rimediare
a errori precedenti, dovuti a leggerezze o distrazioni nel gestire
quello che accade nel governo o ai suoi margini. Se Renzi seguisse
l’attività dei suoi collaboratori “a monte”, ossia prima che la matassa
s’ingarbugli, dopo non ci sarebbe necessità per lui di addossarsi tutto
il peso del mondo, con un novello Atlante.
Il pasticcio del
petrolio merita di essere visto per quello che è: l’indizio che qualcosa
va registrato in fretta nel governo e anche nei codici comunicativi del
premier. Che non può tenere in mano da solo tutti i fili del gioco e
non può nemmeno parlare agli italiani come due anni fa. La fase di
difficoltà può essere superata soprattutto se gli elettori si convincono
che al governo c’è una classe dirigente espressione di una nuova
Italia. Non l’onda lunga di vecchi assetti e di antiche pratiche.