Repubblica 3.4.16
I tabù del mondo
L’arte erotica (e inaspettata) della fedeltà
Il
nostro tempo è cinico e pragmatico, crede alla libertà senza
inibizioni, giudica l’aspirazione delle coppie al “per sempre” una farsa
o una catena repressiva Ma i legami non sempre sacrificano il
desiderio: l’autentica forza dell’amore è trasformare la ripetizione in
un’esperienza davvero unica e irripetibile
Quello che l’ideologia
neo-libertina non vede è che ogni forma di disincanto tende, come
spiegarono già Adorno e Horkheimer a ribaltarsi nel suo contrario
di Massimo Recalcati
Il
tempo ipermoderno sputa sulla fedeltà inneggiando una libertà fatta di
vuoto. Tutto ciò che ostacola il dispiegarsi della volontà di godimento
del soggetto appare come un residuo moralistico destinato ad essere
spazzato via da un libertinismo vacuo sempre più incapace di attribuire
senso alla rinuncia. Il principio si applica tanto ai legami con le cose
quanto, soprattutto, a quelli con le persone. Non è un caso che nel
nostro paese la fedeltà sia stata recentemente considerata dai
legislatori come una forma arcaica del legame amoroso al punto da
volerla sopprimere negli articoli del Codice che normano le unioni
civili e quelle matrimoniali. Perché evocare inutilmente un fantasma
anacronistico reo di aver pesato come un macigno inutile sulla libertà
affettiva e sessuale delle vite umane? Meglio liberarsene come di un
tabù decrepito dalle armi desolatamente spuntate, come un ferro vecchio
che non serve più a niente. Oggi è il tempo del “poliamore”, della
libertà senza inibizioni, della curiosità sperimentale, dell’esperienza
senza vincoli, della morte dell’amore pateticamente romantico e
dell’affermazione, al suo posto, dell’amore narcisistico che rende
l’aspirazione degli amanti al “per sempre” una farsa o una ingenuità
bigotta di qualche credulone, o, peggio ancora, una catena repressiva
alla nostra libertà di amare che deve essere finalmente spezzata. Anche
l’elevazione della fedeltà ad un rango superiore a quello della mera
fedeltà (sessuale) dei corpi, teorizzata, non a caso, soprattutto dagli
uomini, tradisce, in realtà, la stessa difficoltà a concepire un legame
capace di durare nel tempo senza essere necessariamente mutilato nella
spinta del desiderio. Sembra un insegnamento fatale dell’esperienza: più
una relazione dura nel tempo più il desiderio erotico si infiacchisce e
necessita di nuovo carburante, o, meglio, di dopamina. Le neuroscienze
lo confermano senza incertezza: il cervello per mantenere animato il
desiderio deve essere dopato dall’eccitazione proveniente da un nuovo
oggetto. L’anima, forse, si pensa, può restare fedele, ma non lo si può
chiedere al corpo la cui spinta erotica non deve conoscere vincoli.
Il
problema è che il nostro tempo non è più in grado di concepire la
fedeltà come poesia ed ebbrezza, come forza che solleva, come
incentivazione, potenziamento e non diminuzione del desiderio, come
esperienza dell’eterno nel tempo, come ripetizione dello Stesso che
rende tutto Nuovo. Il nostro tempo non sa né pensare, né vivere
l’erotica del legame perché contrappone perversamente l’erotica al
legame. È un assioma che deriva da una versione solo nichilistica della
libertà: la libertà dell’amore – come la libertà in generale per l’uomo
occidentale – deve escludere ogni forma di limite, deve porsi come
assoluta. In questo senso la fedeltà diviene un tabù logoro che
appartiene ad un’altra epoca e destinato ad essere sfatato. Quello che
l’ideologia neo-libertina del nostro tempo però non vede è che ogni
forma di disincanto tende, come spiegarono già Adorno e Horkheimer in
Dialettica dell’illuminismo, a ribaltarsi nel suo contrario. Il culto
del poliamore, della libertà narcisistica, la polverizzazione
dell’ideale romantico dell’amore porta davvero verso una vita più ricca,
più soddisfatta, più generativa? La clinica psicoanalitica ci consiglia
di essere prudenti: la ricerca affannosa del Nuovo spesso non è altro
che la ripetizione monotona della stessa insoddisfazione. Il punto è che
il nostro tempo rischia di smarrire ogni possibile sguardo sulla
trascendenza, sull’altrove, anche di quella che si dà nell’esperienza
assolutamente immanente dei corpi. Perché non esiste amore se non del
corpo, del volto, della particolarità insostituibile dell’Altro.
L’ideale della fedeltà può diventare – come lo è stato per diverse
generazioni – una camicia di forza che sacrifica il desiderio
sull’altare dell’Ideale divenendo dannosa per la vita. Quando questo
accade è bene liberarsene al più presto. Ma l’esperienza della fedeltà,
vissuta non in opposizione alla libertà, ma come la sua massima
realizzazione, offre alla vita una possibilità di gioia e di apertura
rare. Quella che scaturisce dall’esperienza di rendere sempre Nuovo lo
Stesso: la ripetizione della fedeltà rivela infatti che giorno dopo
giorno il volto di chi amo può essere, insieme, sempre lo Stesso e
sempre Nuovo. Mentre il nostro tempo oppone lo Stesso al Nuovo, il
miracolo dell’amore è, infatti, quando c’è, quello di rendere lo Stesso
sempre Nuovo. Accade anche nella lettura dei cosiddetti classici. Lo
diceva bene Italo Calvino: quando un libro diventa un classico se non
quando risulta inesauribile di fronte ad ogni lettura? Quando la sua
forza non si esaurisce mai, ma dura per sempre eccedendo ogni possibile
interpretazione? E non è, forse, la fedeltà (ad un amore, ad un autore,
ad un’idea) un nome di questa forza? Non è la fedeltà ciò che ci spinge a
rileggere lo stesso libro – o un corpo che si trasforma in libro -
scoprendo in esso sempre qualcosa di Nuovo? Non è il suo miracolo quello
di fare Nuovo ogni cosa, soprattutto quella “cosa” che crediamo di
conoscere di più? Non è questa la sua potenza: trasformare la
ripetizione dello Stesso in un evento ogni volta unico e irripetibile?