Repubblica 30.4.16
Il palazzo delle bugie
Non è meno colpevole chi, mentre quel bimbo muore, si volta altrove e parla d’altro
di Concita De Gregorio
TUTTO
è bugiardo, in questa storia, a cominciare dai nomi delle cose. In un
posto che si chiama Parco Verde e che non è un parco ma un serpente di
palazzi e non è verde — di verde ha solo i calcinacci dell’intonaco
sbrecciato — una bambina di sei anni a cui hanno messo nome Fortuna
viene spinta giù dal terrazzo condominiale, otto piani, perché ha detto
di no, questa volta, all’incredibile serie di violenze «croniche e
reiterate», si legge nelle carte del tribunale, di un uomo di 44 anni:
il padre della compagna di giochi e di pianerottolo da cui passava i
pomeriggi. Quali giochi, che pomeriggi.
Tra i primi a piangere il
cadavere scende un altro inquilino dello stabile, accusato mesi prima
insieme alla moglie di violenza su minori. Quali lacrime. Così dunque
passavano i giorni, nel palazzo: almeno due coppie, ma forse di più dice
oggi chi indaga, violavano i bambini. Tutti sapevano: la donna che ha
nascosto una scarpina di Fortuna «per proteggere dalle accuse il figlio
agli arresti domiciliari» — documentano le intercettazioni — , la
convivente poco più che ventenne di Raimondo Caputo, arrestato solo ieri
e in passato già accusato del medesimo tipo di violenze. Sospettati di
pedofilia e violenza su minori, indagati, accusati e poi di nuovo a
casa. Di nuovo lì, con i bambini, nella stanzetta coi cuscini a forma di
cuore. Dall’isolato 3 del Parco Verde i bambini volavano dai balconi e
dai terrazzi: prima Antonio, 3 anni, un anno dopo Fortuna, 6. Incidenti.
Silenzio. Antonio, figlio della convivente di Caputo, è volato nel
2013. Fortuna a giugno del 2014. Ieri, due lunghissimi anni dopo,
Raimondo Caputo è stato arrestato con l’accusa di omicidio.
Una
rete di omertà e di complicità lo ha protetto sinora. Sono stati i bimbi
a parlare alla fine. Gli altri bimbi del palazzo. Una bambina, in
particolare. Un’amica di Fortuna.
Siamo a Caivano, cintura di
Napoli, terra dei fuochi. Questo è un posto dove le esalazioni tossiche
dei rifiuti bruciati dalla camorra ammalano di tumore donne e bambini
prima ancora di nascere. Il prete del quartiere, don Patriciello, è
l’unica voce che si sente: dal pulpito, sui giornali, in tv. Aiutateci,
dice.
Nascere a Caivano è una condanna a morte. Ci sono anche
tante persone perbene in mezzo a questa discarica di rifiuti e di
umanità invisibile. Venite a vedere, scrive sui libri e predica il
prete. Silenzio. Parole perse. Nessuno che abbia responsabilità di
governo, nazionale o locale, si è visto. Non una visita ufficiale di
quelle con le foto e i pranzi nel tinello del presidente del comitato di
quartiere, non un cenno. Niente. Eppure è Italia anche questa, anche a
Caivano dovrebbero arrivare la buona scuola e gli incentivi alle start
up per i nativi digitali, anche qui una bambina di sei anni con i ricci
biondi dovrebbe poter diventare astronauta come Samantha Cristoforetti,
il bell’esempio dell’Italia che vola. Nello spazio, non dal tetto.
Degli
abusi e delle violenze su bambini in età da asilo non si può dir
niente. Non si riesce. Sarebbe facile chiedere a chi volta la testa
dall’altra parte e si dirige verso un importante impegno istituzionale
di immaginare che Antonio e Fortuna siano figli suoi. Proprio di provare
ad immaginare come hanno vissuto i loro pochi anni, vedendo e
sopportando che cosa.
Sarebbe demagogia pretendere che chi governa
un territorio, una regione, un Paese andasse di tanto in tanto, per
qualche tempo, ad abitare quei luoghi. Immaginate: per i prossimi tre
mesi il presidente del Consiglio, della Regione, del municipio
trasferisce la sua residenza al sesto piano dell’isolato 3. Così, tanto
per capire e per testimoniare. Un gesto simbolico, i simboli sono
importanti. Lo Stato è assente, dice il prete. Si faccia presente,
dunque. Venga a salvare la vita di questi bambini volanti.
Poi,
certo. Le colpe sono individuali e i criminali ne portano la
responsabilità. Però è più facile che restino impunite, e addirittura
coperte e protette, le colpe, in luoghi dove non c’è altro che tutto
quello che manca: dove si respira veleno, non si va a scuola, non si
lavora, dove il capo bastone della famiglia di camorra comanda e qualche
volta si candida, eletto.
«Bisognerebbe decretare lo stato di
calamità criminale per minori », ha detto ieri l’avvocato della famiglia
Fortuna. Qualcuno, intanto, tirava una molotov alle persiane della
finestra dove Marianna Fabbozzi, 26 anni, compagna dell’arrestato
Raimondo Caputo (e madre di Antonio, il bambino morto tre anni fa, di
una ragazzina dodicenne vittima di violenze e di altri due figli, una
delle quali amica di Fortuna) è agli arresti domiciliari. Anche la vita
di Marianna, solo a fare i conti dell’età dei figli e della sua, si
immagina come un inferno. Una mano anonima, la molotov. Vile, in fondo,
dopo tanto silenzio. Un fuoco che comunque si è subito spento da solo,
diversamente da quelli perpetui delle discariche all’orizzonte.
“Stato
di calamità criminale per minori” è una formula spaventosa. Non si
potrebbe dire più precisamente cosa sia la sventura di nascere a
Caivano. Come vittime di una catastrofe, un’alluvione un terremoto. Solo
che non è la natura, qui: sono gli uomini a portare la morte. Non è
meno colpevole di chi violenta e uccide un bambino chi, mentre quel
bimbo muore, si volta altrove e parla d’altro. Non si può essere fieri
di un Paese in cui esiste, come se non esistesse, Caivano. Prato Verde,
isolato 3.