sabato 30 aprile 2016

Repubblica 30.4.16
Il dogma dell’infallibilità
risponde Corrado Augias

GENTILE Corrado Augias, la lettera del teologo Hans Küng ( Repubblica del 28/4) è commovente perché rivela la sofferenza di quanti, razionalmente credenti (mi si perdoni l’ossimoro) non possono, razionalmente, accettare che uno di loro, non perché dotato di speciali poteri soprannaturali, ma semplicemente perché è stato eletto da suoi pari, diventi infallibile. Come se questa elezione, operazione tipicamente umana con tutti i compromessi e le dispute che le operazioni umane comportano, diventasse miracolosamente divina. Forse a un teologo del livello di Küng, che tante volte e su temi molto seri ha polemizzato in passato con le gerarchie, piacerebbe dire anche qualcosa di più ardito rispetto alla gestione della Chiesa. Ho però l’impressione che, rispetto alle sue uscite precedenti, la saggezza che viene con l’età gli abbia consigliato di fare un passo alla volta.
Franco Ajmar — Genova — franco.ajmar@yahoo.it
INTERVENTO breve e densissimo quello del celebre teologo dissidente cattolico qui pubblicato giovedì scorso a pagina 29. Frasi come «il papa non vuole più essere il portavoce solitario della Chiesa» segnano un punto di rottura enorme con l’esercizio del pontificato come troppo a lungo è stato esercitato. Vale forse la pena ricordare come e quando nacque il controverso dogma dell’infallibilità, limitata beninteso a quando il papa si esprime ex cathedra cioè parla come pastore universale — in breve: su questioni di dottrina. Il dogma venne fatto proclamare da papa Pio IX, il pontefice che combatté al di là di ogni ragionevole limite la fine dello Stato pontificio, contro lo spirito dei tempi, contro le ragionevoli obiezioni che gli muoveva Camillo Benso di Cavour. Il conte gli faceva notare come il papa romano avrebbe avuto ogni vantaggio spirituale liberandosi delle cure politiche di un territorio con tutti gli inevitabili compromessi che un qualunque esercizio del potere comporta. Spaventato dalla deriva modernista dei tempi, consapevole che il dominio temporale aveva comunque i giorni contati, papa Mastai Ferretti convocò un Concilio (Vaticano I) alla vigilia della caduta di Roma. Il suo sogno era il ritorno ad un assolutismo ormai divenuto impossibile. La composizione dell’assemblea conciliare era stata calibrata in modo che vi prevalessero i vescovi favorevoli al dogma. Gli oppositori venivano spesso minacciati al punto che proprio Hans Küng arrivò pochi anni fa a scrivere che quel concilio fu «più simile al congresso d’un partito totalitario che a una libera assemblea di liberi cristiani». Molti oppositori infatti lasciarono Roma prima della votazione finale nella quale si affermò tra l’altro: «I dogmi e i principii definiti dal papa sono indiscutibili di per sé ( irreformabiles esse ex sese) e non in quanto esprimano il consenso della Chiesa ». Venti storici tedeschi abbandonarono la chiesa cattolica. Era il luglio 1870, pochi giorni dopo scoppiò la guerra franco-prussiana e il Concilio venne sospeso. Napoleone III venne sconfitto a Sedan, il 20 settembre arrivarono i bersaglieri. È ragionevole credere che un papa come Francesco di un dogma come quello, strappato in quelle circostanze, non sappia che farsene.