Repubblica 30.4.16
Lo spoil system della sicurezza
di Gianluca Di Feo
LA
DELICATEZZA della partita istituzionale che si è incardinata intorno
alla volontà del premier di insediare il suo amico Marco Carrai a
Palazzo Chigi è testimoniata dal doppio rinvio nella nomina. Alla fine
Matteo Renzi ha dato ascolto alle osservazioni del Quirinale. E come tre
mesi fa rinunciò a inserire Carrai nell’organigramma dell’intelligence,
ieri ha desistito dal creare una struttura ad personam negli uffici
della presidenza del Consiglio. Ma il capo del governo non si è certo
arreso e intende comunque avere l’uomo di fiducia nel suo staff
personale, come consigliere sulla cybersicurezza, ossia sulla protezione
delle reti informatiche che permettono al Paese di funzionare e che
custodiscono tutte le comunicazioni degli italiani. «Gli ho chiesto di
venire a darmi una mano nel settore dei big data», ha confermato ieri
sera.
È stata questa assenza, forse solo momentanea, a
caratterizzare il pacchetto di promozioni annunciate ieri, una sorta di
termometro sul rapporto tra governo e istituzioni. Quale sia la visione
di Renzi emerge dalle motivazioni con cui ha presentato la decisione di
limitare il mandato dei nuovi vertici a soli due anni, sostanzialmente
dimezzando la durata attuale: «Nell’aprile 2018 dopo le elezioni ci sarà
un altro governo. Siamo persone serie e vogliamo che chi verrà dopo di
noi abbia lo spazio di fare nomine ». In pratica, si va verso
l’applicazione dello spoil system anche nella guida di servizi segreti,
corpi di polizia e forze armate: lo stesso meccanismo che ha generato
effetti perversi nella gestione delle Asl, delle municipalizzate, di
enti locali e aziende statali adesso sembra introdursi negli apparati
che garantiscono la vita della democrazia. Con il potere politico che
rischia di prendere il sopravvento sull’autonomia delle istituzioni,
alimentando nel futuro prossimo cordate interne agli organi di
sicurezza, di intelligence o militari più attente a compiacere la
leadership che non — per usare un’espressione d’altre epoche — a servire
lo Stato. In questo limite temporale si intravvede anche una larvata
sfiducia verso l’autonomia di comando di ufficiali e prefetti, che non
avranno modo di impostare un vero cambiamento. Nemmeno nella notte della
Repubblica, nemmeno nella stagione più cupa della strategia della
tensione, era stato mai introdotto un vincolo del genere. E il termine
biennale rappresenta anche un freno alle esigenze di riforma e
operatività che — come lo stesso Renzi ha più volte ribadito —
caratterizzano tutte le strutture pubbliche: due anni sono un periodo
troppo limitato per ideare, definire e concretizzare qualunque
innovazione. Certo, le figure designate ieri brillano per la qualità
delle carriere e per gli incarichi svolti con successo per conto di
governi differenti, come è accaduto nel caso di Alessandro Pansa e
Franco Gabrielli, rispettivamente nominati al vertice dell’intelligence e
della polizia. Mario Parente, il generale del Ros che ha diretto le
indagini su Mafia Capitale, arriva alla guida del servizio segreto
interno. L’ammiraglio Valter Girardelli passa dalla struttura del
ministro Roberta Pinotti al comando della Marina, un percorso già
seguito da altri ufficiali per incentivare la riforma “sinergica” della
Difesa e superare le gelosie delle singole forze armate.
Ieri,
Renzi ha più volte specificato che il pacchetto è ispirato da «una
valenza istituzionale», privilegiando la promozione dei vice. Vero. Ma
non manca quella che viene definita una “caratura di fiorentinità”,
ossia la nomina di Giorgio Toschi — a lungo in servizio nel capoluogo
toscano — a numero uno delle Fiamme Gialle: l’unico nome su cui dal
Quirinale sarebbero arrivati dubbi, subito superati, sia per le vicende
giudiziarie del fratello sia per il legame con il generale Michele
Adinolfi, la cui confidenza con il premier è stata colta pure dalle
intercettazioni telefoniche.