Repubblica 28.4.16
La politica della resa
di Roberto Saviano
IL
SUD sta morendo. Il Sud è già morto. Nell’agenda di questo governo, il
Sud è stato affrontato con promesse politiche, con proclami, mentre nel
mondo reale sono altre le forze che agiscono. Per capire il Paese
bisogna studiare le organizzazioni criminali approfonditamente. Il loro
assioma di partenza è semplice: sia che tu voglia fare politica, sia che
tu voglia fare impresa, devi sporcarti. Se vuoi emergere, devi
sporcarti. Se vuoi guadagnare, devi sporcarti. Se non vuoi essere nulla —
zi’ nisciun (zio nessuno), come si dice dalle mie parti — allora puoi
essere immacolato e onesto. Un principio che deriva da una convinzione
altrettanto chiara: nessuno è pulito, nessuno può esserlo, se vuole
crescere economicamente. E questo è il motivo per cui il primo gesto
davvero efficace contro le mafie sarebbe aiutare gli imprenditori
onesti.
SEGUE A PAGINA 29
L’INCHIESTA su camorra e Pd in
Campania ruota intorno a Alessandro Zagaria, l’uomo che, secondo le
accuse della Dda di Napoli, gestisce il meccanismo di mazzette per
ottenere l’appalto di ristrutturazione del palazzo Teti-Maffuccini a
Santa Maria Capua Vetere, si interfaccia con la politica e con le
aziende, cerca — secondo le accuse — un appoggio nel presidente del Pd
campano, Stefano Graziano, che vuole trasformare nella sua testa di
ponte con Roma. Graziano avrebbe sbloccato per esempio fondi per circa
due milioni di euro per il restauro del palazzo e avrebbe ricevuto
sostegno elettorale «con l’impegno di porsi come stabile punto di
riferimento politico e amministrativo del clan dei casalesi». Così si
legge nell’inchiesta della Dda di Napoli, coordinata da Giuseppe
Borrelli.
Ma come può un imprenditore così esposto avere credito?
Essere frequentato e ascoltato da politici e imprenditori? Vincere gare
d’appalto?
Nel 2008 il pentito Oreste Spagnuolo racconta (e le sue
dichiarazioni furono ritenute attendibili) che Giuseppe Setola, il
camorrista che stava portando avanti una strategia terroristica (sua la
strage degli africani di Castelvolturno), voleva entrare nell’affare del
grande porto. Per ingraziarsi il boss Michele “Capastorta” Zagaria gli
regalò un cesto con prosciutti, champagne e una collana d’oro. Un gesto
simbolico come richiesta di benevolenza. Per far arrivare il regalo a
Zagaria, all’epoca latitante, Setola lo fece recapitare proprio al
ristorante “Il Tempio”, di Ciccio Zagaria, padre di Alessandro. Per la
cronaca, il ristorante girò il pacco alla sorella del boss, ma Michele
Zagaria rifiutò il dono, perché Setola aveva messo le zampe nella
distribuzione latte e nei lavori del biogas, che erano suo monopolio:
era quindi molto indispettito.
E ancora, nel 2014 il pentito
Massimiliano Caterino, ex uomo di Michele Zagaria, raccontò che lo
stesso ristorante cucinava i pasti per il boss. Grazie a questa
devozione, Alessandro Zagaria vinse appalti per mense scolastiche, bar
universitari e egemonizzò il settore della ristorazione. Con precedenti e
sospetti del genere, poteva la politica capire che non era il caso di
avere un dialogo con Alessandro Zagaria? O doveva aspettare condanne in
Cassazione?
La stessa cosa capitata a Roma con Salvatore Buzzi e
Massimo Carminati. Se queste persone avessero fatto concorso per un
posto da uscieri in una scuola sarebbero state bloccate, non avrebbero
nemmeno potuto fare gli autisti: qualsiasi società avrebbe rischiato
l’interdittiva antimafia. Come sono potuti diventare interlocutori della
politica, gestire voti e appalti, intimidire e decidere?
Il
presidente del pd campano, Stefano Graziano, è indagato per il reato di
concorso esterno in associazione camorristica: pare abbia chiesto e
ottenuto appoggi elettorali nelle ultime consultazioni per l’elezione
del Consiglio regionale. Ora la giustizia farà il suo corso, bisognerà
capire se Graziano era consapevole o ingenuo “utile idiota”. Ma al di là
di come finirà questa vicenda sul piano giudiziario, la questione è
prima di tutto politica. Se venisse confermato che questi mondi
criminali si sono organizzati per fare avere voti e sostegno, e che
Graziano ha accettato l’appoggio pensando che non si trattasse di
camorra, ma di normale logica provinciale di scambio di favori e
protezioni, sul piano politico sarebbe ancora più grave.
La
politica viene sostenuta dalle mafie a sua insaputa. È tollerabile? È
credibile? La camorra così fa, è la sua astuzia più grande quella di far
credere che non esiste, che è tutta un’esagerazione, che qui si tratta
solo di normali affari e favori. La vicenda di Santa Maria Capua Vetere
non ha nulla di straordinario, perché incarna un meccanismo tipico. La
politica ha bisogno dell’impresa, l’impresa ha bisogno del danaro
pubblico, il danaro pubblico si ottiene facilmente attraverso l’accesso
al potere criminale, che può vantare capacità industriale, liquidità
finanziaria, potenziale intimidatorio e controllo dei voti. Il potere
criminale minaccia e ammazza senza temere ripercussioni, considera il
business qualcosa per cui si può morire e uccidere; grazie a questo ha
la capacità di ottenere velocizzazioni burocratiche e riesce quindi a
snellire anche i processi. Appoggiarsi alla camorra significa avere il
controllo di tutti i passaggi. La camorra lubrifica ogni singola parte
dell’ingranaggio. A intervenire in questo meccanismo è anche Michele
Zagaria, il boss-imprenditore dagli affari tentacolari (il cuore delle
sue imprese è in Emilia Romagna, il fratello ha costruito un palazzo in
centro a Milano), ma soprattutto l’uomo che ha intuito meglio di ogni
altro un paradigma fondamentale: il miglior modo di fare impresa mafiosa
è sostenere l’antimafia.
Storica dimostrazione di questa
strategia si ha quando Zagaria permette a due imprenditori del suo giro
di denunciare estorsioni da parte di due presunti camorristi. Questi
vengono identificati e condannati grazie alla dichiarazione degli
imprenditori, che assumono un’immagine antimafia, ma in realtà
continuano a essere affiliati al clan. Analogo è il metodo utilizzato da
tutte le mafie in questi anni: con il Pd, con i Cinque Stelle, con
tutta quella politica che si dichiara contro la mafia e persino con le
associazioni antimafia. Se avessero potuto — e la ‘ndrangheta c’è
riuscita — avrebbero lavorato sicuramente anche con giudici antimafia.
Basti pensare che molte famiglie camorriste e mafiose oggi si fanno
difendere da avvocati, spesso proprio ex magistrati, che provengono da
un contesto antimafia.
Ma il caso di Santa Maria Capua Vetere
evidenzia anche un altro problema: l’incapacità del governo di
modificare i meccanismi criminali. Qualunque sarà il risultato
giudiziario di questa inchiesta, è evidente che la politica non è in
grado di fare autodiagnosi, non riesce più a capire quando diventa
partner della camorra. Ma l’aspetto più tragico della vicenda è che la
politica non riesce più a difendersi senza la magistratura: rimuove, o
costringe alla sospensione, i propri dirigenti solo quando intervengono
inchieste giudiziarie.
Il potere politico è nudo, totalmente
indifeso di fronte alle infiltrazioni mafiose, incapace di stanarle e,
dunque, di combatterle. E anche il governo di Matteo Renzi ha perso
l’occasione, in questi due anni, di cambiare davvero. È dal Sud che si
cambia. E la questione che più sta inficiando la sua autorevolezza è
proprio il fallimento della gestione del Meridione, che Renzi conosce
pochissimo: non ha interlocutori affidabili e quindi non può valutare il
problema nella sua portata reale. In questi anni la paura ha fatto
rinchiudere il premier tra amici, nel cosiddetto “cerchio magico”.
L’errore
risiede non nell’avere tra i propri collaboratori persone di cui ci si
fida, ma piuttosto nel posizionare in posti chiave persone del proprio
giro. E questa è la sua più grande debolezza. Questa chiusura l’ha
inevitabilmente condotto a ignorare la questione meridionale, a
delegarla nel peggior modo, quello leghista: puntando sulla retorica del
Sud lamentoso, che non vuole reagire ma pretende di essere aiutato da
altri. Questa è un’accusa inconsistente, basta leggere i classici della
letteratura meridionalista — da Guido Dorso a Tommaso Fiore — per
rendersene conto. Questa presunta lamentosità è storicamente legata non a
tutti i meridionali ma a quella parte di notabili che puntava ad
aumentare lo spazio del proprio privilegio e per farlo chiedeva una
prebenda, in cambio della quale smetteva di lamentarsi: pronti a rifarlo
quando serviva di nuovo mungere lo Stato.
Finora il governo si è
affidato ai proclami: prospettare, come ha fatto il Pd (anche se il
premier ha dimostrato maggiore prudenza), assunzioni di sviluppatori
Apple, quando invece si tratta di un banalissimo corso a pagamento;
parlare di pioggia di milioni di euro che non saranno più sprecati
riferendosi ai fondi europei, per i quali manca totalmente un piano di
spesa costruttivo; sbandierare il rinnovamento per poi affidarsi a
politici (dalla Calabria alla Campania e alla Sicilia) che hanno assai
poco rappresentato una linea di rinnovamento reale. A Sud ci sono
persone in politica, da esponenti Pd a Cinque Stelle a Sel, che non
vedono l’ora di potersi prendere la responsabilità, di indicare un
progetto nuovo: ma vengono lasciati al margine. Renzi conta sul suo più
grande alleato: il commento finale. Il commento finale? Sì, proprio
quello. Il commento che si fa alla fine di ogni dibattito su questo
governo: «Ma l’alternativa quale sarebbe? Possiamo dare il Paese in mano
a Grillo e Salvini?». Ecco: per quanto Renzi crede di poter godere di
questa immunità politica del commento finale? A Palazzo Teti Maffuccini,
a Santa Maria Capua Vetere, Garibaldi accolse il documento di resa
delle truppe borboniche. Ora quel palazzo sembra accogliere la resa del
Pd al meccanismo criminale.