mercoledì 27 aprile 2016

Repubblica 27.4.16
La corruzione nel Pd
Gli occhi chiusi
di Stefano Folli

IL CASO di Stefano Graziano è proprio uno di quegli incidenti di percorso di cui chi guida un partito — nella circostanza, il Pd — non sente alcun bisogno alla vigilia delle elezioni. È una vicenda che suscita parecchi interrogativi destinati a restare senza risposte convincenti perché finirà, anzi è già finita da ieri, nel frullatore mediatico della strumentalizzazione pre-elettorale.
Del resto, come potrebbe essere altrimenti? Un tale che si fregia del titolo di “presidente del Pd in Campania”, carica di cui i più ignoravano l’esistenza, si trova a essere indagato per il sospetto di aver favorito la camorra a proposito di certi appalti. E l’inchiesta non riguarda solo lui, ma decine di persone in una delle zone d’Italia più inquinate dalla criminalità. Presunto innocente fino al pieno accertamento dei fatti nel processo? Certo, il garantismo vale per tutti, anche per Graziano, il quale magari sarà prosciolto con tante scuse. Ma non si sa quando, come è ovvio: per cui l’appello ai magistrati del vicesegretario del partito renziano, Guerini, affinché facciano presto è al tempo stesso doveroso e convenzionale.
Doveroso perché non c’è alcuna difesa preventiva di un personaggio in apparenza minore impelagato in misteriosi quanto plausibili giri affaristici. Convenzionale perché non cambia la realtà delle cose e le sue spiacevoli ricadute politiche. L’inchiesta farà il suo corso, con i suoi tempi. La campagna elettorale del Pd ne riceverà un inevitabile danno d’immagine. Gli avversari di Renzi si guarderanno bene dall’esibire il minimo fair play, attitudine da tempo assente nel lotta politica, dove peraltro garantismo e giustizialismo sono funzionali all’interesse di parte e del tutto slegati da una cultura giuridica.
Di sicuro il clima generale si va avvelenando. Chi crede nei complotti avrà motivo di intravedere un assedio giudiziario alla politica e magari temere ben altra escalation prima e dopo il voto amministrativo. Potrebbe non avere tutti i torti, ma gli indizi di cui disponiamo non fanno ancora una prova. Chi osserva i fatti con realismo sarà invece più prudente. E magari vorrà ragionare partendo da diverse premesse. La vicenda Graziano racconta molto di una regione, la Campania, dove le infiltrazioni malavitose nella politica sono innumerevoli: magari a livelli bassi o medio- bassi, ma ugualmente gravissime sul piano etico. Una regione — e ce ne sono altre, al Sud e al Centro-Nord — dove i partiti o segmenti di essi sono spesso comitati d’affari (non solo il Pd, certo). Per cui, anche senza sprofondare nell’illegalità palese, si diffonde la zona grigia dove ogni abuso è possibile.
È la questione antica e irrisolta di una classe dirigente mediocre e vorace. I meccanismi di selezione sono da tempo inceppati e nessuno sembra preoccuparsene troppo. Si preferisce guardare altrove, nella convinzione sbagliata che la politica si riduca al suo momento elettorale. Quando invece è proprio lì che i movimenti anti-sistema giocano le loro carte, sfruttando al meglio la carenza di anticorpi che deriva dall’inaridimento morale e dalla fine di ogni mediazione. Graziano è un piccolo personaggio, ma è curioso che abbia potuto restare oltre due anni a Palazzo Chigi, prima con Enrico Letta poi con Matteo Renzi, svolgendo un nebuloso ruolo di consulente. In seguito è stato scaricato, ma è caduto in piedi visto l’incarico ricevuto in Campania e le foto che lo ritraggono con personaggi di primo livello dell’attuale governo.
È probabile che non abbia goduto di connivenze rilevanti, ma è stato lesto nell’infilarsi nelle pieghe di un sistema in cui l’area dell’illegalità è troppo estesa. E questo non serve che lo venga a dire il magistrato Davigo, perché è un fenomeno ben chiaro da anni nei palazzi di Roma. Aver chiuso gli occhi ha aggravato la situazione in Campania, Sicilia, Calabria e altrove. Ovunque le infiltrazioni hanno superato la misura della decenza, la politica ha perso la sua battaglia. Con conseguenze spesso imprevedibili: perché il caso Graziano magari non ha effetti di opinione in Campania, ma è probabile che li abbia in Lombardia, in Piemonte, in Veneto. Le amministrative, dice il sindaco di Torino Fassino, «servono a eleggere i sindaci, non a indebolire Renzi». Vero, ma l’indifferenza del premier verso la qualità della classe dirigente locale contribuisce a produrre tanti casi Graziano. C’è chi ritiene ovviamente di ricavarne un vantaggio, dai Cinque Stelle alla Lega, e non si può escludere che ci riesca. A patto di non dimenticare che la zona grigia riguarda spesso anche loro, gli amministratori grillini e leghisti. È una storia in cui non ci sono i puri e gli impuri e non basta sventolare uno slogan per conservare o recuperare l’innocenza.