il manifesto 27.4.16
Il Supernazareno romano (ma non solo) per l’uscita di scena di Berlusconi
Comunali.
Renzismo e berlusconismo alla prova del voto di Roma, con Bertolaso,
terzo incomodo, per impedire il ballottaggio Meloni-Raggi e offrire al
Pd i voti di quel che resta di Fi. Il Cavaliere oggi pensa a salvare un
resto di prestigio personale, di potere politico e tutto il suo potere
imprenditoriale
di Alberto Asor Rosa
Nella
intricata, contraddittoria e persino lacerante vicenda delle elezioni
comunali a Roma, molte ipotesi sono state affacciate e discusse: ma ne
manca una, il cui carattere apparentemente fantasioso non dovrebbe
impedire di tenerla presente, e considerarla con grande attenzione.
E’ quella che io definirei del rinnovato patto del Nazareno: anzi, del vero, gigantesco Superpatto del Nazareno.
La
premessa riguarda il giudizio che si sente pronunziare sempre più
spesso su Silvio Berlusconi: cotto, incerto, confuso… . Berlusconi si
trova indubbiamente in una situazione difficilissima: non può più
auspicare che gli sia riconosciuto un ruolo di guida nel centro-destra, i
suoi clamorosi successi che dai primi anni ’90 del secolo scorso
arrivano fino alle soglie di questo millennio, sono indubbiamente dietro
le spalle.
Però è sbagliato escludere che non continui a pensare,
con l’astuzia che gli è propria, al proprio destino e al proprio ruolo:
personale, politico e, si badi bene, imprenditoriale.
Allora si
capisce perché si è scelto un proprio candidato al Comune, un
fedelissimo, a lui legato da molteplici vincoli, come Bertolaso, e
continui nonostante tutto a sostenerlo. Perché? Perché la fine totale e
drammatica di Berlusconi e del berlusconismo consiste oggi
essenzialmente nel prevalere, e nell’affermarsi vittoriosamente,
dell’alleanza Meloni-Salvini. E questo, si badi bene, non solo a Roma,
ma, in prospettiva, nel resto d’Italia. E poi, diciamo la verità, cos’ha
a che fare Berlusconi con l’alleanza Meloni-Salvini? Furbo, interessato
sostanzialmente solo al proprio tornaconto personale, di destra quanto
si vuole, ma senza connotazioni estremistiche, che non riguardino
direttamente la conservazione e il benessere della propria persona, oggi
deve pensare soltanto a salvare un resto di prestigio personale, di
potere politico e tutto il suo immenso potere imprenditoriale.
Se
le cose stanno così, Marchini, cane sciolto di un’imprenditoria
palazzinara romana significativa solo in ristretti orizzonti locali, non
gli serve. E soprattutto deve scongiurare il pericolo che Meloni arrivi
al ballottaggio con, inevitabilmente, la grillina Raggi, perché se
questo avvenisse potrebbe accadere che l’intera massa popolare di
centro-destra, che a Roma è ingentissima (e magari qualche inaspettato
contributo di sinistra: una grillina Sindaco di Roma? Mai e poi mai!),
si riversasse su di lei, incoronandola Sindaco di Roma. Se poi al
ballottaggio arrivano Meloni e Raggi, l’ipotesi che Berlusconi, pur
avendo mantenuto in piedi fino in fondo la candidatura di Bertolaso,
possa allora contrattare qualcosa con la destra estrema di Meloni e
Salvini, sarebbe impensabile, lo prenderebbero giustamente a pesci in
faccia.
Dunque, Berlusconi continua a sostenere Bertolaso e, come
ormai pare, lo porta fino al voto (conditio sine qua non del nostro
discorso). Lo fa per rendere meno probabile che Meloni vada al
ballottaggio? Sì, non c’è altra spiegazione: per rendere meno probabile
che Meloni vada al ballottaggio, per impedirlo se gli va bene.
Altrimenti, perché si ostinerebbe contro ogni apparente ragionevolezza a
mantenere Bertolaso in corsa? Bertolaso non ha nessuna possibilità né
di arrivare al ballottaggio né tanto meno di diventare Sindaco. Però può
togliere voti alla Meloni, e, dal momento che è restato in campo, più
gliene toglie, meglio è, generalmente parlando, ma anche per Berlusconi,
una dimostrazione di forza residua, non ancora pereunte.
La prima
parte del ragionamento è, secondo me, credibile e fondata, anzi,
addirittura già decisa. La seconda parte è più problematica, ma non
impossibile, e oltre tutto, come la svolgiamo noi, renderebbe più logica
e più fruttuosa (per Berlusconi, s’intende) anche la prima.
Infatti.
Se al ballottaggio non va Meloni, è altamente probabile, anzi quasi
certo, che vadano l’ineliminabile Raggi e il Pd Giachetti (il quale
dovrebbe da subito registrare che, se ci va, ci va in conseguenza
prevalentemente della scelta berlusconiana). Ma se al ballottaggio vanno
Raggi e il Pd Giachetti, che fa allora Berlusconi? Ha aperte di fronte a
sé due (sole) strade: o dichiara puramente e semplicemente la propria
sconfitta, scompaginando definitivamente le proprio truppe e
guadagnandosi senza frutto alcuno l’odio mortale di Meloni e Salvini;
oppure dichiara – più o meno esplicitamente, i modi giusti si trovano –
che, per motivi di superiore interesse nazionale – ad esempio, per
l’obbligo etico-politico e strategico-nazionale d’impedire che un
grillino divenga Sindaco della Capitale, – è più opportuno, per gli
elettori che sono stati suoi e di Bertolaso, di non guardare con
eccessivo disdegno il candidato del Pd. Anche votarlo? I più
ragionevoli, ossia i più autenticamente berlusconiani, potrebbero farlo.
Se
fa questo, perderà una parte del suo partito e del suo elettorato: ma
poi, io penso, non grande, perché una parte del suo partito e del suo
elettorato ha cominciato, sia pure faticosamente, a pensarla come lui. E
cioè: con la destra estrema non si possono avere rapporti, l’unica
prospettiva credibile in questo caso è di esserne risucchiati e
semplicemente cancellati. E se non si hanno rapporti con la destra
estrema, con chi possono avere rapporti un capo e un partito di
centro-destra moderato come lui e come Fi?
Potrebbe Giachetti
rifiutare un’offerta così generosa? Non potrebbe, perché altrimenti la
Raggi l’avrebbe vinta. Ma se l’accetta, si apre una strada inedita, a
Roma e in Italia. E cioè: si creano le condizioni perché la maggioranza
di governo – attraverso passaggi e compromessi, certo, tutti da studiare
– l’allarghi a dismisura: altro che Alfano! Altro che Verdini! Altro
che (primo) patto del Nazareno! Saremmo all’autoidentificazione
consapevole di una grande forza, sostanzialmente omogenea per indirizzi,
cultura, metodi di governo. Perché – se uno scende serenamente e
obiettivamente in profondità, su di una serie qualificante di questioni e
di principi, renzismo e berlusconismo sono indubbiamente più
convergenti che divergenti, più integrativi che contrappositivi.
Del
resto, se dall’altra parte si dichiara come propria aspirazione
suprema, come proprio obiettivo imprescindibile di pensiero e di azione,
il Partito della Nazione, da che parte volete che da quella parte si
guardi, – in Italia, certo, in Italia, – se non verso la destra moderata
di Berlusconi e di Fi? Il Partito della Nazione riunisce ed unifica il
meglio che sta di qua con il meglio che sta di là (il meglio, s’intende,
nell’ambito di questa prospettiva…): non necessariamente in una forma
organizzativa unitaria, anzi.
Il Partito della Nazione ha una
configurazione ideale prima che politica, gli accordi e le spartizioni
vengono dopo. Paradossalmente, potrebbe essere Berlusconi, e non Renzi, a
dargli l’avvio decisivo. Certo, il Cavaliere è destinato comunque a
uscire di scena (se non altro per motivi anagrafici ormai troppo
cogenti): ma può farlo come padre nobile, riconosciuto e riverito da
tutti, – da tutto, press’a poco, l’establishment politico italiano,
salvo, s’intende, quegli idioti dei lepenisti italiani, chiaramente,
loro, senza futuro alcuno, e gli uomini della sinistra, tuttavia, almeno
per ora, sostanzialmente ininfluenti nel realizzare od ostacolare un
tale progetto. In fondo, bisogna riconoscere che la strada l’ha aperta
lui, nel ’94.
P.S. Se invece, nonostante tutto, a Roma, per un
motivo e/o per un altro, diventa Sindaco o Meloni o Raggi, allora
Berlusconi resta in mutande. Ma non sarebbe il solo.