mercoledì 27 aprile 2016

La Stampa 27.4.16
L’urgenza di fare pulizia
di Marcello Sorgi

I quattro sostituti procuratori D’Alessio, Giordano, Landolfi e Sanseverino, coordinati dal procuratore aggiunto antimafia Giuseppe Borrelli, che ieri hanno ordinato 9 arresti tra Campania e Lazio, e hanno mandato carabinieri e guardia di finanza a perquisire casa e ufficio dell’ormai ex presidente regionale del Pd Stefano Graziano, non pensavano certo, con i loro provvedimenti, di dare una risposta a Matteo Renzi, dopo la dura polemica che lo ha opposto a Pier Camillo Davigo. Le loro indagini erano partite da tempo, erano già al lavoro quando, la settimana scorsa, il presidente del Consiglio e quello dell’Anm hanno incrociato metaforicamente le armi. E Davigo, in un’intervista ad Aldo Cazzullo del «Corriere della Sera», ha detto che secondo lui i politici rubano più di prima e neppure si vergognano.
Ma anche se non c’è chiaramente alcun nesso tra le pesanti parole che hanno inaugurato la nuova fase dell’ultraventennale guerra tra politici e magistrati e l’inchiesta di Napoli, così come non ce n’erano tra l’inchiesta di Potenza e le mozioni di sfiducia seguite alle dimissioni della ministra Guidi, per le incaute telefonate con il suo compagno, nell’immaginario comune, e ancor più nel corto circuito politico-mediatico che si determina ogni volta che succedono fatti del genere, questo collegamento esiste, si rinnova e si rafforza. Il silenzio di Renzi e la formale dichiarazione di fiducia del vicesegretario Guerini nel lavoro della magistratura non bastano certo a ridimensionare gli effetti di un altro disegno grottesco che prende forma.
E così come dall’inchiesta di Potenza saltavano fuori le risse tra le correnti del Pd per aggiudicarsi vantaggi e assunzioni da fare sul territorio grazie al petrolio, da quella della Campania esce un quadretto incredibile, del quale, siamo pronti a scommettere, Renzi non sapeva nulla, anche se gli toccherà pagarne le conseguenze. Allora: il principale imputato, il sindaco di Santa Maria Capua Vetere in provincia di Caserta si chiama Biagio Di Muro e ha un padre che solo qualche anno fa è stato condannato per tangenti e s’è visto confiscare un palazzo storico, nel quale, sembra, a suo tempo, abbia trovato dimora Garibaldi. Questo stesso palazzo, di padre in figlio, era adesso al centro di un complicato restauro affidato a un imprenditore trentenne in odore di rapporti con il clan dei casalesi che di nome fa Alessandro Zagaria, ed è omonimo, e si dichiara solo tale, del più importante boss di camorra arrestato negli ultimi anni. Detto Zagaria, non parente ma invischiato con i casalesi, è stato uno dei principali galoppini elettorali del presidente (fino all’altro ieri) del Pd campano, nonché consulente (fino al governo Letta) di Palazzo Chigi, Stefano Graziano. Per quali meriti Graziano, un modesto politico di provincia che dopo un’esperienza al Parlamento nazionale aveva preferito ritirarsi nella sua regione, sia potuto arrivare fino a Palazzo Chigi, non si sa. Si sa al contrario che Renzi, senza neppure conoscerlo, preferì rinunciare alla sua collaborazione, sia pure consentendo che in cambio Graziano si candidasse al Consiglio regionale e potesse essere nominato presidente del Pd campano. Come invece lo stesso Graziano sia riuscito ad uscire secondo degli eletti tra i consiglieri del Pd lo hanno capito i magistrati: facendosi aiutare da Di Muro e Zagaria, che al telefono non si stancavano di prodigarsi in suo favore.
Più in filigrana, l’inchiesta lascia emergere una novità che, se confermata, dovrebbe preoccupare, prima ancora dei magistrati, e forse più delle pesanti conseguenze politiche e d’immagine sollevate da arresti e perquisizioni, il governo e il Pd. In Campania, nella Campania in cui l’amministrazione regionale, d’intesa con Palazzo Chigi, si prepara a investire in opere pubbliche dieci miliardi di fondi europei, il sistema Cosentino, cioè il presunto accordo tra il clan dei casalesi e l’allora luogotenente del centrodestra (detenuto da due anni) che aveva in questa porzione di Sud la sua roccaforte, sta per essere sostituito da un altro sistema, parallelo e convergente, in cui la criminalità organizzata ha smesso di trafficare con la destra, che ha perso potere, e s’è voltata verso sinistra: trovando, tra l’altro, compiacenti sguardi d’intesa. È un’altra urgente ragione per cercare di far pulizia, prima che sia troppo tardi.