Repubblica 26.4.16
Dal voto di Vienna un messaggio all’europa
di Angelo Bolaffi
DA
buon conoscitore della storia europea, Helmut Kohl, nel discorso tenuto
nell’ottobre del 1993 dinnanzi all’Assemblea nazionale francese, aveva
messo in guardia gli europei.
AVEVA ricordato loro che «gli
spiriti maligni non sono stati banditi per sempre dall’Europa». Per
questo, aveva concluso, «ad ogni generazione si pone di nuovo il compito
di impedire il loro ritorno, di superare i pregiudizi e di far cadere i
sospetti». Una previsione quella fatta del Cancelliere
dell’unificazione tedesca che appare drammaticamente confermata da
quanto accade oggi nel Vecchio Continente. La clamorosa affermazione di
Norbert Hofer esponente xenofobo e populista della Fpö al primo turno
delle elezioni presidenziali austriache è, infatti, solo l’ultimo
capitolo di una vera e propria controrivoluzione nel segno di “terra e
sangue” il cui obiettivo dichiarato è la sconfitta del progetto
europeista. E con esso dei valori dell’illuminismo democratico e del
progresso sociale. Quella che una volta tra ammirazione e sospetto
veniva chiamata Mitteleuropa sembra tornata preda di antichi fantasmi e
di pulsioni identitarie che si illudono di trovare risposte alle sfide
del mondo globale in una inattuale autarchia economica e spirituale. Ma
proprio la gravità della minaccia impone a chi davvero voglia opporsi a
tale deriva di evitare l’inutile quanto impotente retorica dello sdegno
cercando invece nella «analisi concreta della situazione concreta»
risposte ai problemi veri ai quali i populismo danno risposte sbagliate.
Intanto per quello che riguarda l’Austria è bene non dimenticare che in
quel Paese, per la colpevole reticenza con la quale ha accuratamente
evitato di fare i conti col proprio passato, la destra reazionaria
dispone di uno storico potenziale che puntualmente torna a manifestarsi
nei momenti di crisi. Non è un caso che già Jörg Heider, il leader
carinziano scomparso nel 2008, sotto la cui guida si era compiuta la
mutazione della Fpö in senso populistico e xenofobo, aveva raggiunto
nelle elezioni politiche del 1999 il 30% dei voti. Inoltre un rilevante
segnale della radicale trasformazione in corso nel sistema politico
europeo è la crisi forse irreversibile dei due grandi partiti, quello
socialdemocratico della Spö (il 72% degli operai ha votato per Hofer) e
quello popolare della Övp. Partiti che hanno guidato il Paese dalla fine
della Seconda guerra mondiale secondo un ormai inaccettabile sistema di
“grande coalizione spartitoria”. Una ripulsa quella nei confronti dei
partiti tradizionali confermata dal fatto che il 40% degli elettori
austriaci ha espresso la propria preferenza per i due candidati
alternativi. Sarà così il “verde” Alexander van der Bollen ad andare al
ballottaggio confermando in tal modo il crescente protagonismo dei
“Verdi” nel mondo politico di cultura tedesca annunciato in Germania
qualche settimana fa dalla vittoria di Winfried Kretschmann nella
elezione del Land del Baden-Württemberg, una regione per demografia e
ricchezza decisiva. Impossibile, dunque, non prendere atto che è in
crisi il “consenso europeista” che per mezzo secolo aveva funzionato da
collante politico e culturale. Il futuro dell’Europa dipende per questo
dalla possibilità di costruire un “nuovo racconto” che tenga conto delle
mutate condizioni geo-politiche del pianeta-mondo sorto dopo la fine
della Guerra fredda. E dalla capacità degli attori politici di dare
risposte inclusive e cosmopolitiche ai grandi fenomeni, primo fra tutti
quello dei migranti, che stanno riclassificando demograficamente e
economicamente tutte le società occidentali. E in primo luogo quelle del
Vecchio continente. Oggi come accadde negli anni ’20-’30 del Novecento
assistiamo, dunque, allo scontro di “due Europe”: quella che crede che
sia possibile governare le metamorfosi in atto nel segno della giustizia
sociale, della libertà e dell’universalismo dei diritti. L’altra che,
invece, fa politica con la paura e l’odio e insinua la velenosa
convinzione che sia possibile impedire l’irruzione del mutamento
costruendo dei muri. Come quello che il “socialdemocratico” Cancelliere
austriaco ha minacciato di erigere al Brennero senza per questo riuscire
però a impedire il successo del partito xenofobo. Per questo ha un
enorme significato simbolico e strategico la visita di Obama ad
Hannover: il Presidente americano è stato, per così dire, “costretto” a
riscoprire nel momento di sua massima crisi il ruolo strategico
dell’Europa e delle relazioni transatlantiche per gli equilibri mondiali
e il futuro stesso dell’intero Occidente. Schierandosi con inusuale
chiarezza e determinazione — «è dal lato giusto della Storia», ha
affermato — a sostegno della politica seguita da Angela Merkel nella
crisi dei rifugiati, il presidente americano riprendendo una antica
intuizione strategica di George Bush senior che diede via libera alla
riunificazione tedesca proponendo a quel Paese una «partnership nella
leadership », ha affidato alla Germania il compito di tenere assieme
l’Europa per far fronte all’emergenza dei rifugiati, alla lotta contro
l’Isis, tenere a bada Putin e forse anche arrivare a stipulare il molto
controverso trattato transatlantico di cooperazione commerciale. Resta
però ovviamente da vedere se Frau Merkel riuscirà a tenere dietro di sé
unita la Germania.