Corriere 26.4.16
In Austria tornano i fantasmi di Bernhard
di Paolo Di Stefano
In
questi giorni viene voglia di farsi del male tornando a leggere lo
scrittore austriaco Thomas Bernhard che se non fosse morto nel 1989
avrebbe compiuto 85 anni nel febbraio scorso. Leggerlo non per
verificare se e quanto fosse giusto o sbagliato l’odio (ricambiato) che
nutriva per il suo paese. Ma per cercare di capire perché non aveva mai
smesso di percepire l’Austria come «un insieme di muri». È vero che
ragioni molto personali, biografiche, contribuivano a quel risentimento
viscerale, ma c’era anche altro, una sorta di ipersensibilità visionaria
e iperbolica. Nel 1968, ricevendo il Premio di Stato austriaco per la
Letteratura, Bernhard ringraziò per il riconoscimento pronunciando un
discorso che era un’invettiva violentissima: «Noi siamo austriaci, noi
siamo apatici; siamo la vita come volgare disinteresse alla vita, siamo
il senso della megalomania come futuro nel processo della natura». Parlò
di stupidità e intransigenza divenute «bisogno quotidiano». «Volgare
disinteresse alla vita», «senso di megalomania», «stupidità e
intransigenza». Parole impressionanti, che dette quasi venticinque anni
dopo la caduta del nazismo sembravano tradire il gusto (sadico o
masochistico) di rivangare le responsabilità di un passato che Bernhard
si ostinava a considerare per nulla passato. Eppure rilette oggi balzano
agli occhi, evidenti come un presentimento: «quel che pensiamo è già
pensato», disse allora Bernhard e potremmo ripeterlo adesso se solo
avessimo l’accortezza banale di mettere in relazione quel che è stato a
suo tempo con quel che accade oggi. Perché il ritorno trionfale
dell’estrema destra in Austria — imbevuto di xenofobia — evoca fantasmi
più che altrove.
Il misantropo Bernhard è stato il re
dell’invettiva contro la sua Austria, così come Dante era il principe
dell’invettiva contro la sua Italia: sopraffatto dalla rabbia, urla il
suo furore a futura memoria. Mette in moto quella che è stata chiamata,
da lui stesso, «l’arte dell’esagerazione» che investe tutto e tutti.
Molti leggendolo si chiedevano se quella distruttività fosse uno
spingere le cose all’estremo come esercizio fine a se stesso. Dice il
protagonista del romanzo Estinzione : «Solo l’esagerazione dà alle cose
forma visibile, anche il pericolo di esser presi per pazzi non ci
disturba più, a una certa età». Esagerando, a volte, la letteratura ci
mette di fronte all’orrore della realtà. E spesso, purtroppo, lo
prevede.