Corriere 26.4.16
Troppo facile condannare l’Austria: ci tocca capire
di Claudio Magris
Un
motto imperiale diceva: Austria erit in orbe ultima, l’Austria durerà
sino alla fine del mondo, sarà l’ultimo impero a tramontare. Così in
passato. Ma oggi quell’orgoglioso aggettivo sembra cambiare di
significato e mettere pure l’Austria col suo aspirante pistolero
attualmente vittorioso fra gli ultimi della classe. Certo, si può
sperare che il ballottaggio bocci il leader e il partito attualmente in
testa, che usurpano e insozzano un glorioso nome della politica, il
sostantivo o l’aggettivo «liberale». Ma non è il caso di fare il
processo all’Austria attuale, bensì di imparare, prima che sia troppo
tardi, la lezione che essa oggi ci dà. È impressionante che lo
straordinario successo dell’estrema destra abbia avuto luogo in un Paese
tranquillo, in cui le forze politiche che lo hanno governato danno
tutte le garanzie di pacifica stabilità. Il pericolo di un’Europa
barbarica è reale e questo campanello d’allarme austriaco va ascoltato .
A
E. I. O. U. Ancona. Empoli. Italia. Otranto. Udine. Diceva ai tempi
asburgici un motto imperiale: Austria erit in orbe ultima, l’Austria
durerà sino alla fine del mondo, sarà l’ultimo impero a tramontare. Oggi
quell’orgoglioso aggettivo sembra cambiare di significato e mettere
pure l’Austria col suo aspirante pistolero attualmente vittorioso fra
gli ultimi della classe, seduti in fondo con le orecchie d’asino. Certo,
si può sperare che il ballottaggio bocci il leader e il partito
attualmente in testa, che usurpano e insozzano un glorioso nome della
politica, il sostantivo o l’aggettivo «liberale».
La Germania che
abbiamo amata , diceva il titolo di un libretto in cui Croce, nutrito
della grande cultura tedesca, la distingueva, nel suo valore universale,
dalla rozza e sanguinaria barbarie del nazismo. Adesso potremmo e
dovremmo scrivere un’analoga dichiarazione d’amore, L’Austria che
abbiamo amata , e qualcuno l’ha già scritto. Del resto ogni Paese, ogni
cultura, è un Giano bifronte, con una faccia di umanità e civiltà e
un’altra di ottusa violenza e nessun popolo, nessuna cultura possono
dare lezioni agli altri. Indubbiamente c’è stata — e c’è ancora,
culturalmente — una grande Austria sovranazionale, crogiolo pure
drammatico ma fecondo di genti, di lingue, di culture; culla e
interprete di impareggiabile genialità della complessità e delle
trasformazioni che hanno mutato il mondo e le visioni del mondo.
Un’Austria plurinazionale — il cui sale era forse in primo luogo la
contraddittoria ma incredibilmente vitale simbiosi culturale
ebraico-tedesca — ammirata pure da chi l’ha combattuta, come gli
irredentisti triestini; l’Austria il cui imperatore si rivolgeva «ai
miei popoli».
Anche dopo la dissoluzione dell’impero la piccola
Austria è stata straordinariamente ricca e vitale in ogni campo
dell’arte e del sapere. Ma c’è stata ed evidentemente c’è un’Austria
diametralmente opposta, torva gretta; quella che nel 1938 ha accolto
tripudiante «l’invasore» Hitler, che pure la declassava a marca alpina
di confine — Andreotti ricordava folle osannanti e alti prelati viennesi
inneggianti al Führer in quel marzo 1938 e che ha votato in massa per
l’annessione al Terzo Reich e pure fornito alcuni tra i più alacri
carnefici.
Ma non è il caso di fare il processo all’Austria
attuale, bensì di imparare, prima che sia troppo tardi, la lezione che
essa oggi ci dà. È impressionante che lo straordinario successo
dell’estrema destra abbia avuto luogo in un Paese tranquillo, in cui le
forze politiche che lo hanno governato danno tutte le garanzie di
pacifica stabilità: il Partito popolare cristiano-sociale è una tipica
forza moderata che ha avuto e dovrebbe aver la fiducia dei cittadini
giustamente amanti dell’ordine e della sicurezza e il partito socialista
è completamente scevro di ogni immaturità barricadiera, di ogni prurito
rivoluzionario e di ogni ingenuità sentimentale. Si tratta di due
partiti che, da soli o coalizzati offrono l’immagine di una politica
concreta, realista, non vagamente emotiva anche nei confronti del
tremendo problema dell’immigrazione. Se sono stati sconfitti così
clamorosamente, ciò significa che il pericolo di un’Europa barbarica è
reale e che questo campanello d’allarme austriaco va ascoltato e non
semplicemente e moralisticamente deplorato.
L’Europa di oggi
sembra assomigliare progressivamente a quella degli ultimi anni Venti,
con le crescenti insicurezze d’ogni genere, lo spettro e la realtà della
disoccupazione, l’assenza di ogni progetto del futuro, la debolezza
delle organizzazioni e istituzioni internazionali, a cominciare
dall’Unione Europea. Tanti decenni fa quella crisi ha creato, in molti
Paesi d’Europa, regimi terroristici, tirannici e populisti di ogni
genere, mentre a Oriente si consolidava il terrore sovietico.
All’origine della violenza c’è spesso la paura, come oggi la paura
dell’immigrazione che pure, entro precisi ma ampi limiti, è necessaria
in un’Europa sempre più vecchia e sempre più povera di figli e dunque
pure di forza lavoro. La paura dell’immigrazione nasce certo da stolidi e
feroci pregiudizi, che vanno combattuti e sfatati, ma anche da un
problema reale, ossia dal numero dei dannati della terra, ognuno dei
quali ha il diritto di vivere umanamente e non vale meno di ognuno di
noi, ma il cui numero potrebbe diventare materialmente, concretamente,
insostenibile, non per idioti odi razzisti ma per impossibilità
oggettiva.
Conciliare la solidarietà umana e la considerazione
realistica del problema sembra la quadratura del circolo. Se non sarà
risolta, l’Europa di domani potrà assomigliare a quella orribile degli
anni Trenta e la Vienna di queste elezioni sarà nuovamente stata, come
diceva di essa tanti decenni fa Karl Kraus, un osservatorio
meteorologico della fine del mondo. Non sembra probabile l’altra
interpretazione di quell’antico motto latino, che diceva che all’Austria
spettava il compito d i governare il mondo intero.