Repubblica 26.4.16
La storia.
Non c’è solo lo shock per i
migranti a scatenare paure. Havel rimproverava a Vienna di non aver mai
davvero fatto i conti con la storia
Le ombre dell’Austria felix dal passato nazista al progetto di Haider
di Andrea Tarquini
SETTANTADUE
operai su cento in Austria hanno votato per la destra radicale alle
presidenziali. Neutrale, il dato spiega molto. Mai dire mai. L’Austria è
il primo paese all’avanguardia industriale e tecnologica, economia in
crescita, disoccupazione bassa e conti a posto, welfare ai vertici
mondiali, in cui i populisti divengono primo partito, Volkspartei che
spodesta quelli tradizionali. Sempre tra gli operai, a Vienna città
campione mondiale di qualità della vita, solo il dieci per cento ha
votato per la Socialdemocrazia, loro rappresentante storico.
Da
decenni, la voglia di consenso — cardine della stabilità austriaca
postbellica — era erosa. Nel 1986 la Fpö (liberali) che Jörg Haider
trasformò in voce di protesta di destra, antimigranti, antieuropea (usa a
lodi della politica sociale hitleriana e a battute antisemite) divenne
terza forza. Nel 2000 Wolfgang Schüssel, leader cristianopopolare (la Dc
austriaca) fu il primo statista del mondo libero a sdoganare una simile
forza: divenne cancelliere in coalizione con loro, Susanne Riess-Passer
nostalgica vicepremier.
«La “seconda repubblica” nata nel 1955 è
finita», scrivono i grandi media. Avvertono: non c’è solo lo
shock-migranti a mobilitare paure. Ha radici lontane la metamorfosi
austriaca. Per decenni, socialdemocratici e cristianopopolari hanno dato
l’impressione di governare “tra di loro”. In varie interviste a
Repubblica, Heinz-Christian Strache lo ha detto: «Non sanno più
ascoltare il paese reale, pensano solo ai loro compromessi per restare
al potere. Con Bruxelles devolvendo sovranità, sulle poltrone di aziende
pubbliche, sui migranti. Gli austriaci hanno bisogno di più giustizia
sociale, e rifiutano un futuro da minoranza bianca cristiana circondata
da minareti».
Dall’anno scorso, l’Austria — con Italia, Grecia,
Svezia, Germania — è stata uno degli appena cinque tra i 28 paesi
dell’Unione più investiti dalla marea della migrazione. La paura cresce
da anni. Specie nei grandi sobborghi proletari e industriali di Vienna,
Graz e delle altre città- locomotiva. Operai e ceti medi divenuti forti
constituency con Francesco Giuseppe temono di perdere contratti di
lavoro, fitti, mutui, licenze di negozi a vantaggio dei nuovi arrivati.
Aggiungono gli strateghi della Fpö, il partito guidato da Strache e
fondato da Haider: «Lo ha detto il presidente di sinistra uscente Heinz
Fischer. Registriamo più richieste d’asilo che non nascite». Nuove
società parallele — velo e sharia alla porta accanto — diventano
percezione di realtà quotidiana.
I grandi intellettuali, dallo
scrittore Robert Menasse alla drammaturga Elfriede Jelinek, avvertono: è
morta la “Austria Felix”’ prospera, aperta al mondo, solidale. La creò
il cancelliere Bruno Kreisky, padre storico della socialdemocrazia.
«Compagno di strada di Willy Brandt e di Olof Palme». Successi passati: i
partiti storici non sanno sostituirli con certezze di progetti nuovi. E
troppo spesso hanno governato in larghe intese: monopolio
dell’opposizione ai radicali. Il nuovo “Grande disegno” lo offre
Strache, e convince: «un’Europa delle Patrie, insieme al Front National,
alla Lega, a Geert Wilders. Un’Europa amica di Putin, non succube della
leadership imperiale Usa».
Lo sfondo storico è particolare,
ricordano voci critiche. L’Austria postbellica non è la Germania
federale: ama autovittimismi nazionalisti di stile polacco- magiaro. Non
ha compiuto la Vergangenheitsbewaeltigung, resa dei conti col passato,
valore costitutivo tedesco.
I tedeschi apprendono colpe e Passato
dalla prima elementare, gli austriaci no. Ma Vienna fu tutta in piazza
all’Anschluss (1938) in delirio per Hitler in visita. In Waffen-SS e
Gestapo si contarono in proporzione alla popolazione più volontari
austriaci che tedeschi. «Fummo occupati, vittime» (libri di testo). Il
dopoguerra (per il Centro Wiesenthal) fu segnato da protezione e
sdoganamento di ex decision maker del Terzo Reich, infinitamente più che
in Germania. In sinistra e centrodestra. Fino a Kurt Waldheim, capo
dello Stato già manager di Shoah e repressione antipartigiana in
Jugoslavia. «Chi non affronta il passato non è degno del futuro», lo
criticò in pubblico Vaclav Havel. Geograficamente e non solo, Vienna è
meno a ovest di Praga.