giovedì 21 aprile 2016

Repubblica 21.4.16
Parla lo scrittore Gay Talese
“La Grande Mela cede allo show”
intervista di Antonio Monda

Perché una città liberal vota Trump? Perché fa il clown ed è contro l’establishment. E poi Cruz l’aveva attaccata

NEW YORK. Gay Talese oggi ha due motivi per essere scontento: il suo candidato Bernie Sanders è stato sconfitto da Hillary Clinton, e Donald Trump, che lui definisce un «pagliaccio», ha stravinto in campo repubblicano. «Ho 85 anni e ho visto innumerevoli elezioni — mi racconta nella sua casa su Park Avenue — conosco quindi il disincanto, che spero non divenga cinismo. Ho creduto in Obama, ad esempio, ma il resoconto è al di sotto delle aspettative: in otto anni non è stato in grado neanche di chiudere Guantanamo, una delle sue prime promesse. In queste primarie ho votato Sanders, sebbene sappia bene che si tratta di una causa persa e non condivida alcune sue idee».
Iniziamo dal campo repubblicano: come è possibile che una città liberal come New York voti massicciamente per Trump?
«Innanzitutto ribadiamo che si parla esclusivamente del fronte repubblicano. Non dimentichiamo poi che Trump è di Queens, un sobborgo popolare della metropoli e che la stampa, anche quando lo ha attaccato, gli ha fatto enorme pubblicità. Oltre al disprezzo per l’establishment, elemento su cui devono riflettere tutti, è evidente che Trump interpreta meglio di ogni altro l’elemento spettacolo, innato nella cultura americana: uno show volgare, clownesco e pericoloso, ma sempre uno spettacolo. Infine non dobbiamo sottovalutare l’ostilità dei newyorkesi per Cruz, che ha fatto il grave errore di attaccare la città, dipingendola come un luogo di perdizione. Kasich è il più moderato e rispettabile dei tre, ma è rimasto inevitabilmente schiacciato da due personalità forti. C’è un altro dato, sul quale riflettere: il tema dell’immigrazione, che è sentito più di quanto si immagini. Ed è interessante notare che molti immigrati votano Trump, per due motivi: provengono quasi sempre da paesi governati malissimo, e cercano di difendersi da coloro che arrivano dopo di loro».
Perché lei ha votato Sanders?
«Perché ancora mi illudo che ci sia qualcuno che possa cambiare radicalmente il paese e il mondo. Non sono convinto delle sue ricette economiche, ma c’è qualcosa di diretto e coraggioso in quello che dice: ad esempio gli ho sentito ripetere “non tutto quello che dice Netanyahu è giusto”. Un commento del genere potrebbe costare il posto ad alcuni editorialisti. Bibi è l’uomo più potente della politica americana e Sanders lo sfida pubblicamente, mettendo in difficoltà l’establishment del suo partito: non è una novità incredibile? Hillary invece è la candidata ideale di Bibi. E spero che questa affermazione, di questi tempi, non mi costi meccanicamente la fama di anti-Israele o addirittura anti-semita».
Le dichiarazioni di voto in favore di Hillary non sono mai entusiaste.
«Perché Hillary ha commesso molti errori e non è empatica. E rappresenta in maniera assoluta l’establishment, in controtendenza con ogni parte del mondo. Sembra una mamma seria che non sorprende mai, destinata alla mediocrità».
Il mondo intellettuale liberal in queste elezioni si è spaccato.
«Meno di quanto pensi: la maggioranza è per Hillary, ma coloro che appoggiano Sanders sono più rumorosi: nel mondo dello spettacolo Spike Lee, che ha guidato il comizio di Washington Square al grido “Feel the Bern” o Susan Sarandon, che ha espresso anche comprensione per Trump, cosa per me inconcepibile ».
In queste primarie si verifica un paradosso: esistono repubblicani per Sanders e democratici per Trump.
«Questi elettori sono accomunati da due elementi: il disprezzo per l’establishment e la voglia di vedere il fronte opposto rappresentato da un candidato destinato alla sconfitta. Nel primo caso c’è una sincerità che non condivido ma rispetto, nel secondo c’è una furbizia politica squallida».