Repubblica 21.4.16
Breivik, se l’assassino diventa una vittima
di Giancarlo De Cataldo
ANDERS
Breivik è ufficialmente una vittima. I cinque anni di isolamento ai
quali è sottoposto il massacratore nazista di 77 civili inermi ledono il
suo diritto a un’equa detenzione. I giudici di Oslo hanno applicato
l’articolo 3 della Convenzione dei Diritti dell’Uomo, che vieta la
tortura e ogni trattamento inumano o degradante. Eppure, Breivik dispone
di un appartamento di trentuno metri quadrati con palestra, servizi,
televisore e computer. Egli versa in una condizione detentiva che, in
molti altri Paesi, sarebbe persino considerata invidiabile. Si potrebbe,
dunque, sostenere che si tratta solo di una questione di misura. I
giudici norvegesi sono di manica più larga, considerano illecito ciò che
altrove è la norma. Così ragionando, il principio fissato dalla Cedu
sarebbe salvo, e l’errore andrebbe cercato nella sua applicazione.
Ma
la sensazione, nello scorrere i commenti che in queste ore si
infittiscono, è che sia proprio il principio a risultare indigesto. Il
fatto è che questa vicenda rinfocola l’attualissimo dibattito sul
rapporto che avvince sicurezza e pena, repressione e diritti dei
condannati. Con l’ulteriore precisazione che si tratta di questioni
proprie degli stati democratici, e in particolare di quelli europei:
dove regnano dittatori e cacicchi — e anche in qualche grande nazione
fuori d’Europa — le questioni criminali si regolano con metodi assai più
sbrigativi. È tipico, invece, dell’Europa democratica, il tentativo di
uniformarsi a uno standard comune che interpreta in modo multiforme il
rapporto fra sicurezza e pena.
Le democrazie europee non ammettono
la pena di morte, e in molti casi (inclusa la Norvegia) nemmeno
l’ergastolo. Le democrazie europee considerano la pena uno strumento
difensivo, secondo la tradizione, ma anche propulsivo, perseguendo,
attraverso il trattamento carcerario e le misure alternative alla
detenzione, la rieducazione del condannato e il suo reinserimento
sociale. È una strada angusta e impopolare, ma è la strada che le
democrazie hanno scelto dopo un frastagliato percorso lungo centinaia di
anni: inutile, anzi, dannoso infierire sul corpo del prigioniero, se il
fine è il suo riscatto.
Ma Breivik è un’altra storia. Non si può,
con Breivik, spendere l’argomento della “pena dolce” come strumento di
rieducazione, perché Breivik non è pentito, non ha chiesto perdono, ha
rivendicato i suoi crimini. Breivik è un assassino protervo che non
aspira a nessuna rieducazione. Breivik è, a tutti gli effetti, un
indifendibile nemico della democrazia. Perché, allora, la democrazia,
invece di trattarlo coi guanti, non si limita a difendere sè stessa da
uno come lui? Sul web intervengono, in queste ore, cittadini esasperati:
Breivik porta alla luce il lato oscuro della democrazia. O quello
stupido. Ma i giudici di Oslo non sono nè oscuri nè stupidi. Essi hanno
giudicato Breivik ignorando consapevolmente chi è Breivik. Lo hanno
spersonalizzato. Era ciò che chiedeva loro la legge, e si sono
doverosamente adeguati. Davanti a loro è comparso un individuo che,
qualunque fosse stato il suo passato, lamentava una condizione del suo
presente. L’hanno esaminata, questa condizione, e hanno deciso che era
illegale. Si sono assunti la responsabilità di una decisione che è parsa
a tanti bizzarra, persino sconsiderata. E l’hanno adottata nel pieno
rispetto della legge. È in questa spersonalizzazione che risiede il
valore più alto della decisione dei giudici di Oslo. Breivik, da un
lato, perde la sua qualifica di “mostro”, e i giudici decidono liberi
dalla valutazione morale che, c’è da immaginare, dentro di sè
avvertivano acuta e dolorosa. Dall’altro lato, la sentenza finisce per
non riguardare più Breivik, che del resto si è mostrato indifferente
alla giustizia nel suo complesso. No. Il vero oggetto di questa sentenza
è la democrazia stessa.
A Olso è stata riaffermata, contro ogni
clamore, la validità del principio universale che vieta di trattare in
modo inumano anche il peggior prodotto dell’evoluzione della specie
umana. Ed è su principi come questo che si sono costruite le democrazie:
dando ragione a Breivik, in definitiva, la democrazia non solo si è
difesa da Breivik, ma ha riaffermato la sua signoria.