Repubblica 20.4.16
L’ultima sfida del boia di Auschwitz
Nel
processo a Reinhold Hanning, 94 anni, ex Ss, sfilano i sopravvissuti
del campo di sterminio “Racconta come hai aiutato a uccidere 170mila
persone” gli chiedono in lacrime. Ma lui tace
di Tonia Mastrobuoni
BERLINO.
«Tu sai cos’è successo a tutte quelle persone, tu hai aiutato a
ucciderle. Dillo! Dillo!». Inutile insistere. Reinhold Hanning non la
degna di uno sguardo. Uno degli ultimi aguzzini di Auschwitz tace.
Ostinatamente. Anche quando Angela Orosz Richt-Bein, nata alla fine del
1944 nel campo di sterminio polacco, gli grida di guardarla. Pesava un
chilo, quando era nata. La madre era sopravvissuta agli esperimenti di
Josef Mengele, alle sostanze oscure che l”Angelo della morte” le aveva
iniettato nel ventre, mentre era incinta. Angela venne al mondo troppo
debole per piangere. La madre riuscì a nasconderla e a salvarle la vita
per questo. E ora che si ritrova davanti a una guardia di Auschwitz, 71
anni dopo, Angela grida invano.
Tace da nove udienze, Reinhold
Henning, si fissa ostinatamente le ginocchia, non alza mai gli occhi. E
gli avvocati di questo 94enne entrato nella gioventù hitleriana a 13
anni, divenuto a 18 un SS della temibile divisione delle “Teste di
morto”, non fanno che pressare la corte e i testimoni, ricordano
ossessivamente che Henning ha due ore di autonomia al giorno, che non
può concedere un minuto di più ai sopravvissuti. Che hanno spesso la sua
età, che hanno aspettato una vita questo momento, che sono arrivati
dagli Usa, dal Canada, da Israele per incontrare il loro aguzzino. Lui,
una tranquilla vita da lattaio dalla fine della guerra ad oggi,
costringe i suoi avvocati persino a leggere le sue generalità. Umilia le
sue vittime fino all’ultimo. La sfilata dei sopravvissuti, nelle
numerose udienze che si sono tenute nei mesi scorsi a Detmold, è
impressionante. Uno dopo l’altro, sul banco dei testimoni si alternano
le vittime delle atrocità naziste, una dopo l’altra si accavallano le
storie agghiaccianti di chi è sfuggito alla macchina della morte di
Auschwitz. Hanning è ritenuto corresponsabile di 170mila vittime
dell’Olocausto. Un capo di accusa nuovo, accettato solo di recente dai
tribunali tedeschi. Per decenni pretendevano che le responsabilità dei
boia nazisti venissero provate nel dettaglio. Per il solo fatto di
lavorare in una atroce macchina dello sterminio come Auschwitz, non si
poteva essere ritenuti complici. Da quando però, nel 2011, il boia di
Treblinka, John Demjanjuk, è stato condannato senza prove dirette di
atrocità commesse, per la sua presenza nel campo di sterminio di
Sobibor, esiste un precedente importantissimo. E finalmente gli
ultimissimi sopravvissuti dei 6.500 membri delle SS che hanno lavorato
ad Auschwitz possono essere trascinati davanti a una corte. Finora in
Germania ne sono stati condannati, dalla fine della guerra ad oggi,
appena 29.
Al processo di Henning, sono in molti a supplicarlo,
quasi, a parlare, a guardarli. Anche Leon Schwarzbaum: «Abbiamo la
stessa età, dica la verità. Ora che sono qui, dica cosa avete fatto». Da
70 anni, è torturato da un ricordo: «Un camion aperto da cui si
levavano decine di braccia nude, gente portata alle camere a gas,
un’immagine dantesca, che mi perseguita». Per l’86enne Tibor Eisen, di
Toronto, è invece una scena delle docce che gli toglie il sonno da
decenni. E un rumore. «Un uomo aveva degli occhiali molto spessi. Li
perse mentre faceva la doccia, si chinò per raccoglierli e un SS gli
diede un calcio in faccia. L’uomo cadde, l’ufficiale nazista gli montò
sopra e cominciò a battergli i piedi sul petto. Sentivo il rumore delle
costole che si spezzavano. Finché non si mosse più. Era morto». Alla
prossima udienza, il 29 aprile, pare che Henning voglia far leggere una
dichiarazione. Ovviamente, nessuno potrà fare domande.