Il Sole 20.4.16
La birra Peroni diventa giapponese
Asahi raggiunge l’accordo per rilevare lo storico marchio italiano: operazione da 2,55 miliardi
di Stefano Carrer
TOKYO
Quando nel 1846 la ditta Peroni fece la sua comparsa a Vigevano, nessun
giapponese sapeva cosa fosse la birra: solo otto anni dopo questa
bevanda fece il suo primo ingresso nell’arcipelago, portata dal
Commodoro americano Perry come regalo allo Shogun. Centosettanta anni
dopo la sua nascita, la più famosa birra italiana fa rotta verso il
Giappone, nel frattempo diventato il settimo Paese produttore al mondo.
Asahi
Group Holding – fondata nel 1949, ma con radici a Osaka fin dal 1889 -
ha raggiunto l’accordo per rilevare la Peroni – assieme all’olandese
Grolsch e alla birra artigianale moderna britannica Meantime – in una
operazione del valore di 2,55 miliardi di euro in contanti. Lo stringato
comunicato di ieri del gruppo nipponico, per la verità, non conferma il
prezzo, ma rinvia all’offerta vincolante effettuata lo scorso febbraio a
questo importo.
L'attuale proprietaria (dal 2003) SABMiller ha
reso noto che AnheuserBusch InBev (che sta comprando il gruppo
britannico) ha accettato l’offerta di Asahi, che diventerà
automaticamente operativa non appena la loro maxifusione da circa 110
miliardi di dollari sarà approvata dalle autorità Antitrust. Per
l’intesa destinata a creare quello che sarà di gran lunga il maggiore
gruppo birrario globale (con una quota di mercato intorno al 30%) il via
libera è atteso per la seconda metà di quest'anno ed è reso più
probabile dalla campagna di dismissioni in corso finalizzata proprio a
evitare uno stop amministrativo alla concentrazione, soprannominata
“Megabrew” in alcuni circoli finanziari.
Il mese scorso, ad
esempio, SABMiller si è accordata per vendere la quota del 49% nella sua
joint venture cinese al partner locale CRB per 1,6 miliardi di dollari,
mentre è in cessione anche la quota nella joint americana MillerCoors
al partner Molson Coors per circa 12 miliardi di dollari.
Il
gruppo di Tokyo, con questa operazione, espande la sua piattaforma in
Europa con l’obiettivo di diventare un player globale, tanto più che le
prospettive di mercato in Giappone non sono brillanti e le rivali Kirin e
Suntory hanno già rafforzato i ricavi generati oltreconfine. Non sono
previsti problemi per il via libera da parte di Bruxelles: altra
condizione formale per la finalizzazione dell’accordo con cui Asahi
effettua il suo più grande investimento all’est ero (il maggiore nel
settore di una società nipponica dall’acquisizione di due anni fa dei
superalcolici Beam da parte di Suntory Holdings per 13,6 miliardi di
dollari). Restano esclusi dall’accordo i diritti sulla Peroni e su
Grolsch negli Stati Uniti.
Il nuovo proprietario è un gruppo
solido, che di recente ha potuto permettersi di emettere commercial
paper offrendo agli investitori un rendimento pari a zero. Nel 2015 ha
realizzato un utile operativo di 135,1 miliardi di yen (quasi 1,1
miliardi di euro) su un giro d’affari di 1.857 miliardi di yen (quasi 15
miliardi di euro, +4% sull'anno precedente), di cui 999,8 miliardi di
yen nel settore delle bevande alcoliche. Il resto sono soft drinks,
distribuzione (l’anno scorso, ad esempio, ha rilevato la società
Enoteca, importatrice di vini), alimenti e qualche attività collaterale
curiosa come ad esempio un golf club in Inghilterra. La sede europea è a
Londra, con una filiale a Parigi e centri in Inghilterra, Repubblica
Ceca e Russia. Il giro d’affari all’estero finora conta solo per circa
250 miliardi di yen. Ma il suo marchio Super Dry è ormai apprezzato
anche nel vecchio continente, che comunque rappresenta ora una sfida
inedita per il salto di quantità e qualità effettuato.
Rispetto ai
mercati emergenti, l’Europa non presenta particolari attrattive sul
fronte della crescita, che però compensa con le dimensioni e i prezzi
relativamente alti. Per Asahi l’attrattiva è rappresentata sia dai brand
sia dalla possibilità di sviluppare sinergie nella distribuzione. E
Peroni entra nel piano a lungo termine (decennale) di un gruppo che
intende applicare a bevande e cibi il concetto di «kando», che rimanda a
un forte coinvolgimento emotivo in vari modi. Il tutto in una visione
che vuole condividere il «kando» - ossia emozioni positive - con tutti
gli stakeholders.