il manifesto 20.4.16
«L’Ue sapeva dell’aumento dei morti senza Mare nostrum»
Migranti.
Uno studio dell’università inglese Goldsmith denuncia: «Frontex avvertì
che la fine di Mare nostrum avrebbe aumentato il numero dei naufragi,
ma i leader europei decisero ugualmente di sostituirla con Triton»
di Leonardo Clausi
Dunque
sapevano. Che chiudendo l’operazione di soccorso ai migranti nel
Mediterraneo Mare Nostrum e sostituendola con Triton – uno sforzo su
scala più ridotta basato sull’intervento di marine mercantili private e
non militari – i leader dell’Ue si sarebbero assunti in coscienza la
responsabilità dell’incremento dei migranti morti per mare che tale
disimpegno avrebbe provocato. Quello che forse nemmeno lontanamente
immaginavano, è che sarebbero anche emersi gli estremi per una
potenziale accusa penale a loro carico per omissione di soccorso. Perché
il soccorso – inefficace e quasi controproducente – scaturito dalle
decisioni dell’Ue, ha aumentato le morti che intendeva ridurre,
preoccupandosi di porre l’accento sulla deterrenza piuttosto che
sull’accoglienza.
Un «crimine etico» denunciato, a un anno esatto
da una delle peggiori tragedie nel Mediterraneo, da un rapporto appena
pubblicato dal Goldsmith, uno dei college dell’università di Londra.
S’intitola Death By Rescue: The Lethal Effects Of The EU’s Policies Of
Non-assistance At Sea (Morte per soccorso: gli effetti letali delle
politiche marittime di non assistenza dell’Ue) e ne sono autori due
ricercatori, Charles Heller e Lorenzo Pezzani. Hanno accertato che
Frontex, l’agenzia europea per la gestione delle frontiere, aveva
previsto il rischio di aumento degli incidenti rappresentato dal
sostituire Mare Nostrum con Triton, e che tale previsione è stata
deliberatamente ignorata dagli stati membri pur essendone questi
perfettamente informati. «Il report getta nuova luce sulla decisione di
ritirare le forze schierate per il soccorso nel canale di Sicilia e
sugli effetti che questa decisione ha provocato», spiega Pezzani.
«L’abbiamo definita “omicidio per omissione:” siamo anche in contatto
con vari avvocati e studiosi di diritto per vedere se esiste
un’eventuale possibilità di sbocco legale. Non è facile, perché il tipo
di violenza che noi descriviamo non è immediatamente riconoscibile».
Una
violenza ufficiale, che si dissimula benignamente per il suo contrario e
per giudicare la quale non esiste ancora giurisprudenza formale.
«Sapevano
che questa decisione avrebbe portato a più morti, eppure è stata
esplicitamente usata come fattore di deterrenza, per dissuadere i
migranti dal tentare il viaggio. Se da un punto di vista morale e
politico in generale questo mi sembra molto grave, da quello legale c’è
ancora una discussione aperta. Noi puntiamo senz’altro a spingere anche
questo aspetto, ma al momento non è ancora chiaro come o in quale ambito
lo si potrà affrontare».
Il progetto che ha dato vita allo studio
si chiama Forensic Oceanography, è nato già nel 2011 all’indomani delle
cosiddette primavere arabe. Fa parte di un progetto più ampio detto
Forensic Architecture, comprendente studiosi che lavorano non solo
sull’emigrazione ma su episodi come l’attacco di Israele a Gaza, o sui
diritti alla terra degli indios in Amazzonia. «Il nostro obiettivo era
di dimostrare che queste persone sono forzate a prendere il mare perché
non hanno accesso legale all’Unione europea. Abbiamo cominciato a
studiare il caso della Left-to die boat: una barca lasciata andare alla
deriva per 14 giorni, che causò più di 60 morti. Lì abbiamo fatto un
primo lavoro di ricerca e di ricostruzione nel dettaglio, basato non
solo sulle testimonianze dei sopravvissuti, ma anche vagliando una fonte
molto vasta di dati tecnici come le tracce Ais (Automatic integrated
systems), i sistemi che tracciano e definiscono la posizione delle navi
commerciali», usando immagini satellitari e lavorando con un oceanografo
per ricostruire la deriva della barca.
Pur biasimando la
decisione di sospendere Mare nostrum, Pezzana non le risparmia le dovute
critiche. «Anche durante Mare nostrum sono morte più di 3500 persone.
C’è un pericolo fondamentale che nessuna missione di soccorso riuscirà
ad eliminare. L’unico provvedimento che potrebbe porre fine a questa
strage è semplicemente l’apertura di canali legali. Ora che abbiamo
accertato che gli effetti di queste politiche sono nefasti su così vasta
scala, l’unica soluzione deve essere riconoscere un diritto alla
mobilità, soprattutto ora che la rotta balcanica è chiusa. L’Italia,
come gli altri governi europei, dovrebbe fare di più: ha anche altre
gravi responsabilità. Mare nostrum aveva mostrato un volto umanitario,
ma poi la gente arrivava per essere lasciata in un sistema assolutamente
delirante che spesso viola anche i più elementari diritti, con l’unica
attenuante della condotta virtuosa di poche istituzioni locali».