La Stampa 20.4.16
Frontiere blindate e no alle quote
Il piano di Orban per i migranti
di Alessandro Alviani Marco Zatterin
In
10 punti la strategia del premier ungherese: hot spot esterni alla Ue
per le richieste d’asilo e sanzioni ai Paesi che non controllano.
Critiche alla linea di Renzi. Scontro Ue-Turchia
Sarà
anche vero che, come ha spiegato alla Bild al termine di un suo atteso
incontro con l’ex cancelliere Helmut Kohl, Viktor Orban si considera
«fianco a fianco con Berlino» sulla questione dei rifugiati e vuole
«appoggiare Angela Merkel con ulteriori impulsi, come il nostro piano
d’azione, per venire a capo delle attuali sfide europee».
In
realtà, a leggere quel piano in dieci punti che il premier ungherese ha
portato ieri con sé in Germania, le intersezioni con la linea di Berlino
sembrano ben poche. La strategia di Orbán, ribattezzata «Schengen 2.0»,
si concentra sulla protezione delle frontiere esterne della Ue e
suggerisce di creare hotspot all’esterno dei confini comunitari, per far
sì che tutte le domande d’asilo non vengano più processate in Europa,
sollecita punizioni per chi non applica le norme sul diritto d’asilo, ma
lascia passare i rifugiati, prevede che gli altri Stati membri o
l’agenzia Frontex intervengano nel caso in cui un Paese non sia in grado
di effettuare i controlli in modo adeguato e si schiera nettamente
contro il meccanismo di ricollocamento dei profughi. Una linea dura
ribadita dal portavoce del governo ungherese, Zoltan Kovacs, che sul
«Migration Compact» elaborato dal governo italiano, ha premesso sì che
«ogni proposta europea deve essere esaminata», ma ha chiarito che
«invece di correggere la fallita politica migratoria di Bruxelles, i
confini dell’Europa devono essere protetti e le migrazioni di massa
illegali fermate perché rappresentano una minaccia per la cultura, i
cittadini e la sicurezza di ogni giorno dell’Europa».
Orbán ha
visto ieri per 80 minuti Kohl nella residenza privata dell’ex
cancelliere a Oggersheim, un quartiere di Ludwigshafen. Un incontro che
alla vigilia aveva fatto molto discutere in Germania, in quanto era
stato interpretato come uno sgambetto ai danni di Angela Merkel da parte
del suo ex mentore. Orbán è infatti tra i più decisi critici di Merkel
sulla questione dei rifugiati. Non solo, ma nella prefazione
all’edizione ungherese di un suo appello sull’Europa uscito due anni fa
in Germania, Kohl aveva scritto tra l’altro: «Decisioni solitarie, per
quanto giustificate possano apparire al singolo, e soluzioni nazionali
unilaterali devono appartenere al passato». Una frase che suona come una
critica aperta alla decisione di Merkel di aprire le frontiere tedesche
ai rifugiati, lo scorso settembre. Al termine del faccia a faccia, Kohl
e Orban, che si conoscono da anni, hanno provato a placare le polemiche
con un comunicato a quattro mani in cui danno pieno sostegno a Merkel.
«Non c’è nessuna alternativa all’Europa politicamente unita, se vogliamo
conservare in modo duraturo la pace e la libertà in Europa e se
l’Europa vuole assumersi le sue responsabilità nel mondo».
A
Strasburgo è andato in scena un altro braccio di ferro, quello fra Ue e
Turchia sulla liberalizzazione dei visti. L’accordo sulla gestione della
crisi dei migranti fissa l’esenzione a giugno, a patto però che Ankara
soddisfi tutti i requisiti previsti dalle procedure Ue. «Continuo a
credere che avremo la liberalizzazione a giugno. Se non sarà così,
allora di certo nessuno potrà aspettarsi che la Turchia mantenga i suoi
impegni», ha avvertito Davutoglu prima di partire per Strasburgo, dove
ha incontrato Juncker. Il quale ha subito risposto: «I criteri non
saranno annacquati, abbiamo concluso un’intesa. L’accordo è applicato.
Non occorre lanciare minacce al vento».